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McLaren-Alfa Romeo 1970


Photographer unknown
Photographer unknown
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Courtesy Archives of Estate of Rey Paolini

1970 McLaren-Alfa Romeo V-8 M7D


1971-1972 March - Alfa Romeo Formula 1 


 
 

The Brabham - Alfa Romeo Years

1974-1978




Back to the Future

Testo di Roberto Motta

 

Nel 1976, dopo oltre un ventennio dal suo ritiro dai Grand Prix, la Casa del Portello tornò alla F.1 fornendo alla Brabham i suoi 12 cilindri boxer. Era il prologo dell’avventura nella massima formula che incomincerà nel 1979 con il ritorno in gara di una monoposto tutta Alfa Romeo

 

 

Alla fine del 1975, la Casa del Portello vinse il Campionato Mondiale Marche con la 33TT12 spinta dal propulsore boxer ‘Tipo 105-12’.  L’affidabilità e la potenza del propulsore consentirono alla 33 di vincere 7 delle 8 gare in programma, e attrasse a tal punto l’allora proprietario della Brabham, Bernie Ecclestone, che lo richiese per le sue vetture di Formula 1. Uno degli artefici della collaborazione tra Alfa Romeo e Brabham fu il pilota Andrea de Adamich. de Adamich, che aveva abbandonato il mondo delle corse nel 1974, aveva mantenuto un buon rapporto con l’Alfa Romeo e con Bernie Ecclestone per il quale gareggiò nel 1973 con la BT42.

 

La Brabham era una piccola scuderia che aveva ottenuto un buon successo nel campionato del 1974, conquistando il 2° posto nella classifica costruttori e consentì a Reutemann di ottenere il 3° posto nella classifica piloti.

 

Eclestone era consapevole che le sue vetture spinte dal V-8 Ford Cosworth non erano in grado di competere con le Ferrari dotate del 12 cilindri boxer. Inoltre, era alla ricerca di qualcosa che consentisse alla sua squadra di distinguersi dalle altre scuderie britanniche. de Adamich non faticò a convincerlo che l’accordo con l’Alfa Romeo avrebbe potuto consentire quel salto di qualità tanto ricercato.

 

Dopo brevi trattative, Ecclestone siglò un accordo con l’Alfa Romeo che si impegnò a fornirgli i propulsori e a seguirne lo sviluppo.

 

Nasce la BT45

 

Raggiunto l’accordo i tecnici inglesi capitanati da Gordon Murray modificarono un telaio Brabaham BT44 per accogliere il propulsore milanese e affrontare i primi test di fattibilità.

Il ottobre 13, 1975, sulla pista di Silverstone, debuttò in pista la prima Brabham-Alfa Romeo.

 

I risultati non furono incoraggianti. I tecnici Brabham e Alfa Romeo avevano immaginato che la loro collaborazione non sarebbe stata semplice e puntualmente si presentò il primo problema: il ‘boxer’ Alfa Romeo richiedeva un telaio più specifico.

 

Il ‘boxer’ consentiva di abbassare il centro di gravità della vettura ed erogava una maggiore potenza rispetto al V-8 Cosworth, ma era più pesante, aveva dimensioni maggiori e consumi più elevati. Per risolvere i problemi telaistici, Murray disegnò quindi una nuova vettura che venne denominata BT45.

 

La tecnica

La nuova vettura era la naturale evoluzione della BT44. Ne manteneva la forma del  frontale con i radiatori dell’acqua posti davanti alle ruote anteriori, mentre il corpo vettura aveva forme più quadrate e massicce. Diversa anche l’aerodinamica, con il posteriore completamente carenato e due vistose prese d’aria verticali, che avevano il compito di deviare l’aria dagli pneumatici posteriori, per incanalarla verso l’alettone posteriore, e simultaneamente convogliare aria fresca verso le trombette d’aspirazione.

 

Fortemente rinnovata nel telaio, la BT45 riproponeva sospensioni con uno schema già collaudato da Murray, con il gruppo molla ammortizzatore interno alla vettura compresso dal basso verso l’alto grazie a un bilanciere in alluminio messo in trazione da un tirante. Le sospensioni posteriori erano composte da un gruppo molla ammortizzatore, da bracci trasversali e bielletta longitudinale.

 

Entrambi gli assi erano dotati di barra stabilizzatrice.

 

L’impianto frenante sfruttava dischi autoventilanti morsi da pinze a 4 pistoncini. I dischi anteriori erano montati alle ruote, mentre quelli posteriori erano montati in-board ai lati della trasmissione.

 

 

Alfa Romeo ‘Tipo 105-12’

 

 

Punto di forza della BT45 era Il propulsore ‘Tipo 105-12’, uno dei motori tecnicamente più avanzati del suo tempo. Aveva il basamento in alluminio con camicie cromate, alesaggio e corsa rispettivamente di 77 e 53,6 mm, e cilindrata effettiva di 2.995 cc. L’albero motore era montato su quattro supporti di banco, le bielle erano in titanio e la lubrificazione era garantita da una pompa di mandata e quattro pompe di recupero. La testa era in alluminio, con quattro valvole per cilindro, inclinate di 35°, doppie molle e bicchierini per il comando a doppi assi delle camme, mossi da un treno di ingranaggi.

 

Quando debuttò in F1 aveva un peso di 181 kg ed erogava una potenza di 517 cv a 12.000 giri con una coppia di 33 kgm a 9.000 giri. Nel corso degli anni venne costantemente aggiornato, e utilizzava due tipi di iniezione indiretta, Lucas o Spica. Nel 1977, il suo peso scese a 175 kg, e la potenza erogata salì attorno ai 525 CV, e raggiunse i 535-540 Cv nella sua massima evoluzione del 1978.

 

Lo shake down

 

 

La BT45 ebbe il suo shake down a metà ottobre quando, condotta in pista da Reutemann, fece un solo giro ad andatura ridotta a causa di problemi di lubrificazione del propulsore.

 

La BT45 fu quindi costretta a ritornare nelle officine per adottare un nuovo serbatoio dell’olio, e per la sostituzione delle pompe di recupero del circuito lubrificante.

 

Il 26 ottobre, la BT45, distinta da una livrea di colore bianco e dal marchio dello sponsor Martini, venne presentata ufficialmente sul circuito del Balocco alla presenza di Moro, Chiti, Ecclestone, Cortesi, Vittorio Rossi e dei piloti Pace e Reutemann.

 

Nel corso dell’incontro con la stampa, la Casa milanese comunicò i propri programmi sportivi che prevedevano l’abbandono del Campionato Mondiale Marche del 1976, e il totale coinvolgimento dell’Autodelta nella preparazione dei propulsori ‘boxer’ per la Brabham.

Nel corso della giornata la vettura percorse alcuni giri di pista poi, nei giorni successivi, fu sottoposta a un intenso programma di sviluppo durante il quale si evidenziarono problemi di sottodimensionamento del telaio e l’anomalo funzionamento del propulsore.

 

Ricordiamo che il boxer milanese derivava dall’unità montata sulla 33 e che il suo utilizzo sulle sport consentiva l’impiego di un serbatoio olio della capacità di circa 30 litri, mentre sulla BT45 il serbatoio olio aveva una capacità di soli 8 litri. Inoltre le caratteristiche richieste a un propulsore utilizzato in gare di durata, dove era sottoposto a sollecitazioni prolungate nel tempo, erano mirate alla durata e alla solidità della struttura, più che al contenimento assoluto del peso. I tecnici Autodelta furono così obbligati a sviluppare il propulsore per migliorarne la lubrificazione e diminuirne il peso.

 

 

La BT45 in gara

 

 

Il Team Martini Racing Brabham-Alfa Romeo debuttò in gara il gennaio 23, 1976 nel GP d’Argentina sulla pista di Bueonos Aires, dove la BT45 apparve con la nuova livrea di colore rosso Alfa Romeo. Il debutto in pista non fu dei più confortanti: nelle prove ottenne il 10° e 15° tempo con Pace e Reutemann, e concluse la gara al 10° posto con Pace, e al 12° con Reutemann. Gara dopo gara, le Brabaham-Alfa Romeo continuarono a condurre gare prive di risultati, fino al mese di luglio, quando la BT45 di Pace conquistò il 4° posto nel GP di Francia, risultato che venne confermato nel GP di Germania sul tracciato del Nürburgring.

La gara del Nürburgring fu funestata dal grave incidente occorso a Niki Lauda, che rimase gravemente ferito nel rogo della sua Ferrari.

Al termine di questa competizione, ancora una volta Reutemann non risparmiò critiche alla vettura e al propulsore poi, dopo essere stato contattato dalla Ferrari che non credeva in un recupero di Lauda, decise di pagare una pesante penale economica per rescindere il contratto che lo legava al team anglo-italiano.

 

Reutemann disputò la sua ultima gara con la BT45 al Grand Prix di Olanda.

Il 12 settembre, Lauda stupì gli appassionati tornando al volante della 312 T2, nelle prove del Grand Prix  d’Italia a Monza.  Nella stessa gara Reutemann debuttò con la terza vettura schierata dalla Ferrari, mentre la BT45 lasciata libera dal pilota argentino, venne affidata a Rolf Stommelen e a Larry Perkins, rispettivamente nel Grand Prix  d’Italia, e nei successivi Grand Prix del Canada, USA-East e Giappone.

 

Il Team Brabham-Alfa Romeo terminò il campionato conquistando la 9a posizione della Coppa Costruttori, risultato insoddisfacente che mise in risalto il continuo scontro tra i tecnici inglesi e quelli italiani che si accusano vicendevolmente dell’insuccesso.

 

Uno degli elementi destabilizzanti del team fu Reuteman il quale, oltre a elargire critiche ai tecnici, non partecipò attivamente allo sviluppo della vettura, lasciando a Carlos Pace l’onere di sobbarcarsi la maggior parte dei test.

 

Dal canto suo, Pace si dimostrò un pilota maturo e motivato. Lo stesso Chiti, nel libro ‘Sinfonia ruggente’ di Oscar Orefici, racconta di aver raggiunto un ottimo rapporto con il pilota proprio perché, lavorando a stretto contatto nelle prove di sviluppo della vettura, avevano imparato a conoscersi e rispettarsi.

 

 L’armonia tra i due apparve evidente anche nello sviluppo del propulsore, tanto che decisero insieme di non utilizzare una sigla identificativa delle modifiche apportate, ma di identificare con un nome ogni evoluzione del propulsore. Nacque quindi il motore ‘tigre’, ‘super tigre’ e ‘leone’ ai quali si aggiunse, scherzosamente, il ‘Bernie’ ossia il propulsore meno prestante.

 

La BT45B

 

 

Nell’inverno 1976 - 1977, Murray e Ing. Chiti lavorarono per migliorare la vettura. I progettisti prevedevano il debutto in gara della BT45B nel Grand Prix del Sud Africa. La vettura aveva nuove sospensioni posteriori, attacchi motore e un nuovo cambio, mentre ulteriori modifiche vennero apportate alle prese d’aria per consentire al 12 cilindri boxer di respirare a pieni polmoni ed erogare una potenza di circa 530 cv.

 

Come ogni anno, il campionato prese il via con Grand Prix di Argentina. La BT45 si comportò egregiamente e consentì a Watson e Pace di registrare il 2° e il 6° miglior tempo. Il giorno della gara, le due BT45 si alternarono al comando, fino a quando la vettura di Watson fu costretta al ritiro per la rottura di un semiasse, mentre quella di Pace, conquistò un sudato 2° posto a causa di una crisi fisica del pilota.

 

In Brasile le BT45 partirono velocissime, ma già al 7° giro la vettura di Pace fu tradita dall’irruenza del suo pilota e finì la corsa fuori strada. Stessa sorte ebbe la vettura di Watson che abbandonò la gara al 30° giro.

 

In Sud Africa, finalmente, debuttò la BT45B che ottenne il 2° tempo in prova con Carlos Pace. In gara la vettura di Watson fu la più veloce sul giro e conquistò i primi punti con il 6° posto.

 

Alcuni giorni dopo, Carlos Pace rimase vittima di un incidente aereo che gli costò la vita. Il team anglo-italiano fu costretto a ingaggiare un sostituto per affrontare il resto del campionato; la scelta cadde su Hans Stuck Junior, figlio del leggendario pilota degli anni Trenta.

 

A Long Beach la vettura di Watson innescò un incidente alla prima staccata e fu squalificato, mentre la vettura di Stuck abbandonò la gara al 53° giro per la rottura dei freni.

 

Nel successivo Grand Prix di Montecarlo, la BT 45B di Watson ottenne il miglior tempo, ma al momento del via le sue ruote pattinarono sulle strisce pedonali facendosi così superare dalla Wolf di Scheckter. Dopo aver percorso più di metà gara in 2a posizione si ritirò con problemi al cambio.

 

Nel corso della stagione estiva, Lauda si avviò a conquistare il suo secondo Mondiale con la Ferrari; contemporaneamente si avvicinava la scadenza del suo contratto. Dopo gravi incomprensioni con Ferrari, Lauda decise di accettare le proposte di Bernie Ecclestone, e a Zandvort siglò il contratto con il Team anglo-italiano per la stagione 1978. Prima della fine del campionato, dopo aver vinto matematicamente il campionato Mondiale Piloti, la Ferrari lasciò libero il pilota austriaco e lo sostituì con il giovane Gilles Villeneuve.

 

Per tutta la stagione la BT45B, che affrontò la sua ultima gara nel Grand Prix del Giappone, continuò a ottenere ottimi tempi in prova, in particolare con Watson, ma non riuscì a conquistare la tanto agognata vittoria in gara. Tra i risultati ottenuti il 2°posto di Watson in Francia e i due podi in Germania e Austria di Stuck.

 

Arriva Lauda

 

 

Nell’ottobre 1977, la BT45B consentì a Lauda di affrontare il suo primo test con la Brabham sul circuito di Vallelunga. Era l’inizio di una nuova era. Il test fu pieno di significati: grazie all’apporto economico della Parmalat, il team Brabham-Alfa Romeo puntava tutto sul campione austriaco che, dal canto suo, voleva dimostrare di saper vincere anche senza la Ferrari.

 

Dopo l’arrivo di Lauda, la Casa di Arese era sempre più vicina a prendere la decisione di affrontare il campionato con una vettura completamente progettata e costruita dalla Autodelta di cui ne affidò il progetto all’ing. Chiti.

 

Prese quindi il via il progetto della Alfa Romeo ‘Tipo 177’.

 

 

Il  gennaio 15,1978 la Brabham BT45C, arricchita dal numero 1 portato da Lauda, debuttò nel Grand Prix d’Argentina. Partita dalla 5a posizione della griglia di partenza, concluse la gara al 2° posto, dietro alla Lotus di Andretti, mentre la vettura di Watson fu costretta al ritiro per rottura del propulsore.

La BT45C disputò la sua ultima gara al Grand Prix del Brasile dove conquistò il 3° gradino del podio con Lauda e l’8° posto con Watson.

 

 

La Brabaham del dopo BT45

 

 

Nelle gare successive, la stagione visse il confronto tra la Ferrari e la Lotus che si dimostrò sempre più competitiva grazie alla prima vettura a effetto suolo della storia della F1. Il comportamento della BT46, che debuttò nel Grand Prix del Sud Africa, fu altalenante. Gli unici risultati degni di nota furono il 2° posto conquistato con Lauda nel Grand Prix di Montecarlo, la vittoria a Monza ottenuta grazie alla penalizzazione di un minuto della Ferrari di Villeneuve e della Lotus di Andretti per partenza anticipata.

 

La mancanza di risultati causò un inasprimento dei rapporti all’interno della squadra Brabaham-Alfa Romeo, che diventarono impossibili quando Lauda si dichiarò contrario alla costruzione di una nuova vettura Alfa Romeo.

 

Nell’inverno 1978, mentre la Brabham era impegnata nelle prove della BT48 con il nuovo propulsore V-12 ‘Tipo 1260’ realizzato per consentire lo sfruttamento dell’effetto suolo, l’Autodelta iniziò i suoi studi per la realizzazione della ‘179’, e continuò ad accumulare esperienza con la ‘177’. Il dado ormai era tratto: nel ’79 l’Alfa Romeo portò al debutto la tanto attesa ‘Alfa Romeo F1’.

 

Dopo un anno di prove, prima segrete sul circuito di Brands Hatch e poi palesi sul circuito privato del Balocco e altri circuiti europei, l’Alfa Romeo si preparò al grande salto, e il 13 maggio 13, 1979, in occasione della 6a gara di campionato che si disputava sul circuito belga di Zolder, debuttò in gara la ‘Tipo 177’ condotta da Bruno Giacomelli.

 

Quattro mesi dopo, nel Grand Prix d’Italia, debuttò la ‘Tipo 179’. Fu la fine del sodalizio con la Casa inglese. Nel successivo Grand Prix di Montreal cessò ufficialmente la collaborazione tra Brabham e Alfa Romeo. Fin dal giorno delle prove, le vetture inglesi mantennero la rossa livrea Alfa Romeo, ma sotto il cofano montavano il più tradizionale motore Ford Cosworth in sostituzione del V-12 Alfa Romeo 1260. L’era Brabham-Alfa Romeo era così definitivamente tramontata.

 

 

 


Courtesy of Centro Documentazione Alfa Romeo, Arese
Courtesy of Centro Documentazione Alfa Romeo, Arese
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Courtesy of Manuel Lara


Courtesy of Roberto F. Motta.
Courtesy of Roberto F. Motta.
 
 
Courtesy of Roberto F. Motta.

                                  Alfa Romeo 177: Ritorno al Futuro 
    

                                               Testo e foto di Roberto Motta


Poco nota ai non alfisti, l’Alfa Romeo 177 è stata una delle automobili piùimportanti nella storia dell’Alfa Romeo nelle competizioni. Dopo una lunga gestazione, partecipò a solo quattro gare senza riportare risultati significati,  ma permise il ritorno del ‘Biscione’ nel mondo della F1 con un vero progetto  tutto-Italiano che comprendeva l'automobile, il telaio, motore e naturalmente, il pilota.

Nel 1951, dopo aver vinto il Campionato del mondo con Nino Farina nel ‘50 e con Juan Manuel Fangio nel ’51, alla guida della celebre ‘Alfetta’, l’Alfa  Romeo si ritirò dal mondo dei Grand Prix.

Poi, nel corso degli anni e con il crescere delle vittorie nelle categorie riservate alle vetture GT e nella categoria Sport Prototipi, per la dirigenza della Casa milanese, la tentazione di ritornare alla Formula 1 con una monoposto tutta italiana, si fece sempre più insistente, tanto che nei primi anni ‘70 l’Alfa Romeo rientrò nel mondo dei Grand Prix fornendo i suoi motori V8 alla McLaren e March.

Pochi anni dopo, nel ’76, dopo la vittoria del Campionato Mondiale Marche con la 33TT12, la Casa milanese iniziò una collaborazione con la scuderia inglese Brabham alla quale fornì il propulsore ‘boxer’.

Purtroppo i risultati tardano ad arrivare e i rapporti tra i tecnici Italiani e i colleghi inglesi si deteriorano, tanto che nel ’77, Ettore Massacesi, allora Direttore Generale, richiese all’Autodelta la progettazione e lo sviluppo di una  nuova vettura di F1 con cui ritornare nel mondo dei GP.

L’Autodelta era il reparto corse dell’Alfa Romeo e le sue officine erano situate a Settimo milanese, una cittadina vicino a Milano.

Il responsabile tecnico per lo sviluppo del nuovo progetto della F1 Alfa Romeo era Carlo Chiti, uno dei più geniali progettisti della storia  dell’automobilismo mondiale.

La nuova auto, che fu denominata ‘Tipo 177’, era spinta dal motore del boxe a dodici cilindri progettato da Chiti e già utilizzato dalla Brabham nel ‘76. Questo propulsore, denominato ‘tipo115-12’, era caratterizzato da misure di alesaggio e corsa rispettivamente di 77,0 e 53,6 mm che gli conferivano una  cilindrata effettiva di 2995 cc e, nella sua ultima versione era in grado di erogare 520 cavalli a 12000 giri/min.

Il telaio della nuova monoposto sfruttava una monoscocca di alluminio al quale era vincolato il motore con funzione semi portante.

Le sospensioni anteriori sfruttavano quadrilateri sovrapposti e bracci d’equilibrio collegati ai gruppi molla-ammortizzatore posti in posizione verticale all’interno del corpo vettura.

Le sospensioni posteriori erano composte da quadrilateri sovrapposti con puntoni di reazione longitudinali e gruppi molle-ammortizzatore posti in posizione inclinata esterna.

Le sospensioni erano completate da barre antirollio registrabili sia sull’anteriore che sul posteriore.

L’impianto frenante, fornito dalla Lockheed, sfruttava freni a disco autoventilanti, con pompe a doppio-pistoncino e pastiglie Ferodo. I dischi anteriori erano montati alle ruote, mentre quelli posteriori erano posti in posizione interna vicino al differenziale.

La 177 poggiava su ruote in magnesio con misure anteriore di 10x13” e posteriori di 19”x13”. Gli pneumatici anteriori avevano misure di 9.25/23/13” e quelli posteriori di 15.0/28.0/x13”.

La vettura dichiarava un peso di 600 Kg, un passo di 2740 millimetri, carreggiata anteriore di 1660 millimetri e posteriore di 1610 millimetri.  Infine la 177 sfruttava due serbatoi di combustibile, montati in posizione laterale, della capacità totale di 200 litri.

Quando fu progettata, la 177 era una monoposto di concezione tecnica molto avanzata. Purtroppo l’unico telaio costruito, marcato dal numero di serie 177- 001, non fu pronto prima del maggio ’78 e per vari motivi non riuscì a debuttare fino al maggio ’79.

E’ necessario ricordare che nella stessa stagione agonistica, Colin Chapman portò al debutto la Lotus 78, vettura ad effetto suolo, probabilmente una delle migliori F1 che mai siano state progettate.

Con l’avvento delle vetture ad effetto suolo, la tecnica progettuale delle F1 venne stravolta e l’Alfa Romeo 177 divenne virtualmente obsoleta prima ancora di debuttare in gara.

Questo spiega il perché la 177 non riuscì a ottenere risultati significativi.   Malgrado tutto ciò, alla 177 va dato il merito di essere la vettura che ha permesso all’Alfa Romeo il ritorno nel mondo dei Grand Prix.   La 177 vide ufficialmente la luce il 30 maggio ’78 quando, condotta da Vittorio  Brambilla, percorse i primi giri di pista sul circuito del Balocco, la pista privata dell’Alfa Romeo.

In questa prima prova la carrozzeria della vettura era ancora grezza, e appariva quasi nera. La vettura utilizzava le nuove gomme di Pirelli che vennero ben presto sostituite dalle Goodyear.

I collaudi proseguirono e, nel mese di agosto, in previsione di un eventuale  debutto a Monza nel GP d’Italia del 10 settembre, la 177 effettuò un test completo al Paul Ricard con Vittorio Brambilla e Niki Lauda.   Dopo queste prove, con esito negativo, l’Autodelta decise di posticipare il debutto.

Purtroppo a Monza, Brambilla e la sua Surtees TS20 furono coinvolti  nell’incidente che costò la vita a Ronnie Peterson. Brambilla riportò diverse  lesioni che lo costrinsero a rimanere lontano dalle piste per quasi un anno.   Durante la stagione invernale, la 177 continuò il suo sviluppo con Giorgio
Francia e successivamente con il giovane pilota italiano Bruno Giacomelli,  che aveva già dimostrato le sue doti di guida prima in F3 e poi in F2.

Finalmente, dopo un anno di prove, prima segrete sul circuito di Brands  Hatch, seguite da prove di sviluppo sul circuito privato del Balocco ed altri  circuiti europei, il 13 maggio ’79, in occasione della 6° gara di campionato,  che si svolgeva sul circuito belga di Zolder, l’Alfa Romeo 177 fu iscritta e affidata a Bruno Giacomelli

Durante le due sessioni di prove, caratterizzate da un tempo piovoso e dalla  pista scivolosa, la 177 di Giacomelli ottenne il 14° tempo, alle spalle della Brabham-Alfa Romeo, spinta dal propulsore Alfa Romeo ‘Tipo 1260’ con 12  cilindri a V di 60°, del blasonato pilota austriaco Niki Lauda.

Il giorno della gara l’Alfa Romeo 177 lottò con la Shadow di De Angelis, fino a  quando, nel corso del 21° giro, non fu urtata dalla vettura del romano e fu  costretta al ritiro.  Per la dirigenza Alfa Romeo, e per la stampa intera, si trattò comunque di un debutto positivo.  Poiché, la 177, era ormai una vettura tecnicamente  sorpassata, e decisamente pesante. 

Nata come vettura sperimentale, ben due anni prima, era caratterizzata da un peso a secco di oltre 600 kg, e si stava battendo contro vetture ad effetto suolo del peso di poco superiore ai 500 kg. Inoltre, in questo periodo, la Casa Milanese aveva già approntato una  nuova vettura ad effetto suolo, la 179, della quale stava continuando lo  sviluppo in previsione del suo debutto al GP d’Italia.

Circa sei settimane dopo il 1° luglio ‘79, la 177 e Giacomelli ritornarono in gara in occasione del GP di Francia, che si disputò sul circuito di Digione, nel corso delle prove la vettura milanese conquistò il 17° tempo.  Il giorno della gara, nonostante il grande impegno di Giacomelli, la 177 transitò sul
traguardo in 17° posizione a ben cinque giri dalla Reanault RS 11 vincitrice  della competizione.

Nei giorni successivi, la 177 fu sottoposta ad un duro collaudo sulla velocissima pista di Hockeneheim, dove condotta da Vittorio Brambilla, ottenne dei tempi sul giro decisamente interessanti. 

Tuttavia, la dirigenza Alfa Romeo, decise di non partecipare alla gara in programma sulla pista tedesca, e di concentrare i suoi sforzi per la preparazione delle vetture destinate al successivo GP d’Italia, gara in cui era preventivato anche il debutto della nuova vettura ad effetto suolo; la 179.

Il 9 settembre ‘79, in occasione del GP d’Italia a Monza, la 177 venne affidata a Brambilla.

Fu una giornata memorabile, i tifosi italiani riservarono all’Alfa Romeo e ai suoi piloti, Vittorio e Bruno un’accoglienza indimenticabile.   Brambilla, aveva 42 anni, e tornava in gara con una F1 sulla stessa pista  dove un anno prima aveva avuto il suo drammatico incidente.

Nel corso delle prove la 177 ottenne il 22° tempo precedendo altre quattro vetture.

Al termine della gara, che vide la vittoria del mondiale da parte della Ferrari di Scheckter, l’Alfa Romeo 177 di Brambilla si comportò in modo più che dignitoso e transitò sotto la bandiera a scacchi in 12a posizione, mentre la 179, affidata a Giacomelli, fu costretta al ritiro nel corso del 29° giro, per una uscita di strada.

Da notare che prima del ritiro, la 179 aveva raggiunto la Brabham di Lauda e si accingeva a superarlo, poi una banale uscita di strada alla variante Ascari, arrestò la clamorosa azione di forza della nuova vettura milanese.

Una settimana dopo la 177 apparve in gara in occasione del GP Dino Ferrari, gara non valida per il campionato che si svolse a Imola.  Per la prima volta dopo nove anni, Enzo Ferrari presenzio alle prove.  Durante le prove, la 177 fu testata sia da Bruno che da Vittorio ma per la gara fu affidata Vittorio. Partita dal 6° posto della griglia di partenza, la 177 terminò  la gara al 9° posto ad un giro dal vincitore.

Al 40° giro la 177, come nella gara del suo debutto, fu colpita dalla Shadow di Elio De Angelis, e fu costretta a rallentare la sua corsa.

L’Alfa Romeo 177-001 terminò così la sua carriera a Imola comportandosi meglio della sorella minore, la 179, che fu costretta al ritiro dopo soli 4 giri.  La 177 disputò solo poche gare ma portò a termine il suo compito; aveva riportato una vettura Alfa Romeo in F1 dopo una lunghissima assenza durata 28 anni.





ALFA ROMEO 179 

Testo di Roberto Motta

Foto: Centro Documentazione Alfa Romeo, Arese, Roberto Motta e 

Tom Wood © 2011 Courtesy of RM Auctions

 

La 179 fu una vettura importante nella storia della F1, nata come wing-car, fu mortificata dal cambio regolamentare. Non raggiunse i risultati sperati, ma fece sognare gli appassionati del marchio Nel ’79 la Alfa Romeo tornò a competere nel Campionato Mondiale F1 con una propria vettura, la 177. Nata ben due anni prima del suo debutto in gara, e pur avendo un esordio positivo, la 177 si dimostrò tecnicamente sorpassata. 

Concepita per l’uso di gomme radiali Pirelli, fu costretta a utilizzare le Good-Year, inoltre, i problemi di ingombro del propulsore boxer non le permettevano di essere una vera wing-car. I problemi di ingombro del propulsore influirono anche sui risultati della Brabham-Alfa-Romeo che ovviamente, al pari della vettura milanese, non poteva sfruttare nel migliore dei modi l’effetto suolo. Per tale ragione, nella tarda primavera del ’78 l’ing. Chiti iniziò la progettazione di un nuovo propulsore denominato ‘tipo 1260’, ossia 12 cilindri a V di 60°, che avrebbe permesso di sfruttare i tunnel laterali in cui trovava posto una struttura ad ala rovesciata che consentiva lo sfruttamento dell’effetto suolo. 

Parallelamente la 177 continuava a essere aggiornata e a partecipare ad alcune gare di campionato. Il propulsore ’Tipo 1260’ Costruito in poco più di quattro mesi, fin dalle prime prove effettuate da Lauda, il propulsore si dimostrò uno dei migliori motori del suo periodo. Aveva misure di alesaggio e corsa di 77,0 e 53,60 mm (2995 cc), e sfruttava tutte le esperienze del precedente boxer di cui manteneva alcuni particolari come l'albero a gomiti, le bielle, i pistoni e le testate. 

Dall'aspetto granitico, la sua struttura era caratterizzata dalle bancate dei cilindri strette e alte, che gli conferivano un senso di solidità e grande potenza. I collettori di scarico separati si univano con un sistema del tipo 3 in uno per sfociare in un unico scarico. 

Al momento del suo debutto in pista, avvenuto sulla BT48 di Lauda nel dicembre ‘78, aveva una potenza di 525 cv a 12.200 giri.

Nel corso degli anni conservò un elevato standard di affidabilità e potenza, arrivando a erogare, nelle sue ultime versioni, 540 cavalli a 12300 giri e una coppia superiore ai 35 kgm a 9000-9500 giri. Così, mentre il tempo trascorreva, l’Alfa Romeo continuò a fornire i motori al team Parmalat passando dal ‘tipo 115-12’ al V12 ‘tipo 1260’ che equipaggiava la BT48.

 

L’Alfa Romeo 179: una vera ground effect ‘wing-car’


La 179 fu concepita seguendo i dettami tecnici che imperavano nel periodo.

Era una vera ground effect ‘wing cars’: all'interno della carrozzeria nascondeva profili alari rovesciati e camini d'aria laterali a sezione variabile che, con l’aiuto delle minigonne che permettevano una tenuta stagna sotto il fondo della vettura, consentivano all’aria in transito sotto la vettura di creare una forte depressione che si trasformava in un forte aumento della deportanza e quindi in una tenuta di strada in curva enormemente superiore a quella delle monoposto tradizionali.

Disegnata dal tecnico francese Robert Choulet, la linea della vettura appariva come un insieme di forme tondeggianti spezzate dalle nette linee delle fiancate. La 179, più di ogni altra F1, era ‘figlia dell‘aerodinamica poiché persino il motore a 12 cilindri a V stretto era stato progettato per ottenere il miglior rendimento aerodinamico possibile.

Era sicuramente la prima volta nella storia delle auto da corsa che un motore veniva costruito solo per questi motivi. La sua struttura a V di 60° consentiva di inserire ali interne deportanti con ben 40 centimetri di larghezza in più di quelli consentiti dal motore boxer permettendo un carico aerodinamico dovuto all'effetto Venturi di circa 700 kg (a 260 km/h).

La vettura sfruttava una scocca molto stretta realizzata in pannelli di alluminio e titanio, dalla forma pulita, che partiva dal muso sino al motore che aveva funzione portante.


Dietro le spalle del pilota trovava posto il serbatoio carburante da 200 litri. Le sospensioni sfruttavano le soluzioni adottate per la 177: anteriormente utilizzavano triangoli sovrapposti a base larga e barra antirollio mentre posteriormente erano composte da triangoli inferiore e da un braccetto superiore, ed erano dotate di una barra antirollio regolabile dal pilota.

La monoposto, caratterizzata da una linea tondeggiante che contrastava con le forme tese delle fiancate, era nata dalle lunghe prove nella galleria del vento ed era distinta dai profili alari studiati dall‘Autodelta. Grazie alla notevole deportanza della sua carrozzeria, era priva dello spoiler anteriore e appariva come una delle F1 più belle. 

Vennero poi sperimentati, e adottati, anche piccoli spoilers deportami anteriori e un alettone a tutta larghezza. La 179 pesava a secco 595 kg, aveva un passo 2,74 m, carreggiate 1,72 m e 1,57 m, lunghezza 4,34 m, larghezza 2,14 m e altezza 0,9 m.

Fatto non indifferente, che per la prima volta dai tempi della 158 ‘Alfetta’, la vettura sfruttava un propulsore concepito esclusivamente per le competizioni in F1 poiché il propulsore V8 e il successivo boxer 12 cilindri erano propulsori derivati da un motore utilizzato sulle vetture Sport. La 179 aveva quindi le carte in regola per riportare l’Alfa Romeo alla vittoria.

 

La 179 debutta a Monza


Il 16 e 17 agosto il team Alfa Romeo si trasferì sul circuito di Monza dove, alla presenza dell’allora presidente Massacesi, fu testata da Giacomelli e Brambilla. Nel corso delle prove la 179 fu vittima di alcuni problemi tecnici, tra cui la rottura di un collettore di scarico, che si staccò dal propulsore mentre la vettura percorreva la curva di Lesmo e, 5 giri più tardi, si ruppe il un propulsore, nella medesima curva. La 179 fu costretta al rientro ai box trainata da una Alfetta GTV di servizio, e tra i fischi degli spettatori.

Il mattino seguente, verso le 11, la 179 fu portata in pista da Brambilla e, con qualche interruzione per i controlli, proseguì le prove fino alle 18, quando la pista fu chiusa. Il 9 settembre ‘79, in occasione del GP d’Italia, furono schierate dalla Autodelta la 177-001 affidata a Vittorio Brambilla e la 179-001 a Giacomelli. 

Nel corso delle prove, la 179 ottenne il 18° tempo nello schieramento di partenza mentre la 177 ottenne la 22a posizione. Nel corso della gara la 179 lottò con la Brabaham-Alfa Romeo BT48 di Lauda ma, nel corso del 29° giro, mentre si preparava a superarla una banale uscita di strada alla variante Ascari arrestò la sua corsa.

 


 

Fu un peccato, perché la vettura si era dimostrata competitiva, pur se ancora fresca di sviluppo. Al termine della gara, che vide la vittoria del mondiale della Ferrari di Scheckter, la 177 concluse in 12a posizione. La ‘179’ ebbe una lunga carriera e fu realizzata in diverse versioni (179B, 179C, 179D, 179F).

Probabilmente, la sua versione più bella fu proprio quella del suo primo anno, in cui era distinta da una livrea rossa, il colore prescelto per le vetture da corsa italiane, ed era priva di spoiler anteriori. 

Con questa configurazione affrontò le ultime gare del campionato, a Montreal e a Watkins Glen. La 179-001 rimase a disposizione di Giacomelli, mentre la 179-002 fu affidata a Brambilla.

Dopo l’impegnativo debutto nella breve stagione ’79, nell’‘80 la vettura migliorò con la rinnovata scuderia Marlboro-Alfa Romeo. Nel corso della stagione, Giacomelli, ottenne due quinti posti, un tredicesimo posto, e la pole position in Canada. L’1 agosto, la stagione fu funestata dalla perdita Patrick Depailler, tragicamente scomparso durante una sessione privata di test in Germania. Il suo posto fu temporaneamente ripreso da Brambilla il quale prese parte con la 179B-004 al Dutch Grand Prix a Zandvoort e al GP d’Italia a Imola.

Fu la sua ultima gara in F1 perché poi venne sostituito definitivamente da Andrea De Cesaris che debuttò in F1 al GP del Canada. Nel frattempo, la ‘tipo 179’ si dimostrò sempre più veloce tanto che la 179B-006 consentì a Giacomelli di conquistare la pole position a Watkins Glen dove condusse la gara con largo margine e solo all'ultimo fu tradito dalla fusione della bobina, che gli strappò una vittoria ormai certa.

La stagione ’81 fu caratterizzata dall’abolizione delle ‘minigonne’. La 179, voluta e nata come una ground effect wing-cars, non riuscì più a rendere al meglio pur subendo alcune modifiche.


Conclusioni

La 179 nata come wing-car per sfruttare al meglio i regolamenti, fu mortificata dal cambio regolamentare e, pur non essendo riuscita ad avere i risultati sperati, fece sognare gli alfisti anche per aver portato in gara giovani piloti italiani. Ci viene naturale pensare come la sua storia si sarebbe evoluta se ci fossero state meno contraddizioni all’interno della squadra, e se la vettura fosse stata condotta da piloti più esperti, i migliori del suo tempo, come ad esempio piloti del calibro di Villeneuve, Scheckter, Jones, Lauda, Prost, Piquet, Mansel… Sappiamo però che la storia non si scrive con i ‘se’.

Courtesy of Roberto F. Motta.

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