Negli anni ‘60, Alfa Romeo era la fabbrica di proprietà statale segnata da ormai cronica “crescita disturbata”, e a soluzione di problema, IRI aveva portato Giuseppe Luraghi al timone dell’azienda. Nuovo amministratore delegato gestiva quel difficile rebus all’italiana con innato carisma e grande autorità. Era uno stratega straordinario che riusciva a leggere sibillini oracoli del mercato per trovare le giuste risposte del futuro. Memore dei trionfi dell’Alfa del passato, Luraghi sentiva che il legame che Alfa Romeo aveva con la pista era indissolubile ed anche la garanzia della sopravvivenza del marchio. Per il ritorno nel mondo delle corse, abbandonato nel primo dopoguerra dopo aver vinto due consecutivi campionati mondiali, la fabbrica scelse il Campionato Turismo era tra i più seguiti dal pubblico, per cui Luraghi diede il compito al Servizio Esperienze Speciali di sviluppare da una vettura già in produzione, la versione adatta alle corse. Fu deciso di adoperare la Giulia GT(ottima base), già per sé la versione sportiva del marchio e partendo da quella riuscita costruzione preparare una versione da corsa. La Giulia GT (codice progetto 105.32), era piccola, armoniosa vettura a quattro posti veri, un capolavoro di stille italiano, opera giovanile di Giorgetto Giugiaro, che all’epoca operava nello studio di Nuccio Bertone. Per ottenere l’alto grado di competitività della nuova vettura, Luraghi decise di coinvolgere L’Autodelta di Carlo Chiti e Lodovico Chizzola, già impegnati per conto della fabbrica, in elaborazioni del modello TZ da competizione, e nel 1964, Alfa Romeo fece assorbire la loro piccola fabbrica, per trasferirla poi a Settimo Milanese. Autodelta così diventava di fatto reparto corse del marchio. Nel febbraio del 1965, al Salone d’Automobile di Amsterdam, venne quindi presentata la Giulia GTA, dove A stava per “Alleggerita”, e solo occhio esperto poteva da subito distinguere la nova vettura, altrimenti identica alla sorella GT. Tra il '66 e il '69 in base alla richiesta di omologazione, la GTA 1600 fu prodotta in 493 esemplari, dei quali sono documentati 486. II colori della vettura erano solo due, Rosso 501 Alfa da corsa e Bianco 101 Biancospino, mentre sulle fiancate risplendeva il magico talismano ereditato da Ugo Sivocci, quadrifoglio verde nel triangolo bianco. A Carlo Chiti e la sua Autodelta, fu affidato il compito di fare da GTA una macchina vincente. Nasceva il mito GTA, e questa e la sua storia.
Per la vettura fu utilizzò il pianale e l'ossatura in acciaio della Sprint GT, ma ricoperti con lamierati in lega d’alluminio, Peraluman 25, composta di alluminio, zinco e manganese, che hanno permesso ad abbassare il peso fino a circa 700 kg. La meccanica rispecchiava quella già presente sulla versione GT, ma prevedeva una nuova testata a doppia accensione, coperchio punterie, coperchio frontale del motore, coppa e sottocoppa dell’olio, e molte altre componenti meccaniche prodotte in leggero Elektron, bielle, albero motore, e alberi a camme speciali, e una miriade di altri dettagli mirati ad abbassare il peso iniziale della vettura. La potenza del propulsore saliva da poco (115 CV) per la versione Stradale, ma per arrivare a 160 CV sulla versione destinata alle piste. La Giulia GTA, montava pneumatici 165x14 su cerchi Campagnolo da 6 pollici, ed era priva dell’isolamento sonoro, aveva sedili alleggeriti e montava un semplice rollbar protettivo, nell’interno spartano della vettura. Il volante era del marchio Hellebore in alluminio a razze forate e il cruscotto alleggerito con la strumentazione completa.
Di tutta la produzione delle GTA, una cinquantina di esemplari furono poi affidati dall'Alfa, all'Autodelta, da dove sono uscite preparate per le gare in pista, con assetti ribassati e irrigiditi, motori preparati e con qualche alleggerimento aggiuntivo. Queste GTA avevano una potenza che spaziava da 154 a 175 CV, un risultato eccezionale per un propulsore di 1600 cc costruito mezzo secolo fa. La manovrabilità era precisa, dura e molto diretta, senza deriva con 3.7 giri del volante, e un sistema frenante, potente e brusco, ma senza servofreno di serie (andava montato su richiesta). L'abitacolo, già di serie non molto spazioso, era ridotto all'essenziale, con il sedile guida di tipo agonistico e le cinture di sicurezza a quattro punti di ancoraggio. Le ruote, con l'adozione di cerchi ruota in electron da 14” vennero montati i Dunlop Racing R da 5,50x14, e lo scarico libero, detto a papera, usciva da sotto la portiera sinistra, producendo l’urlo caratteristico delle GTA da corsa.
E’ chiaro che questa dell'alleggerimento estremo è la prima specifica notata sulla GTA, in questo caso, non semplice limatura ove possibile, ma un vero passaggio al nuovo attraverso il cambio di materiale nella costruzione della carrozzeria che passa dalla lamiera d'acciaio al Peraluman 25, un’elaborazione complessa del motore e l’assetto che consentiva di abbassare il peso della vettura dai 950 kg iniziali della Sprint GT ai 745 della Sprint GTA stradale provvista anche di paraurti e cristalli discendenti in vetro. Infatti, molti, analizzando la GTA hanno sottolineato l’assoluta “normalità” di questa straordinaria vettura, che in fondo non presentava nessuna soluzione troppo nuova o rivoluzionaria. La GTA era semplicemente la somma di tante soluzioni “normali” indovinate e felicemente incorporate nel progetto. Il cuore della GTA era il mitico motore bialbero Alfa Romeo, nella versione di 1570 cc, da molti considerato il miglior 4 cilindri nella storia dell’automobilismo. Di chiara ispirazione aeronautica, questo motore fu concepito nei primi anni ’50, ed è rimasto in produzione nelle sue numerose varianti sino a 1998 rimanendo di base comune a tutte le vetture della serie 105. Comunque, il carattere specifico della GTA e la vera differenza dalle altre versioni usate per la famiglia delle Giulia, oltre alla carrozzeria in Peralluman, nascevano proprio sotto il cofano. Si notava subito l’assenza del tipico filtro dell’aria con la nota “proboscide” che assicurava l’aria al cassoncino che racchiudeva due carburatori Weber a doppio corpo. I generosi 45DCOE14, erano invece provisti di una presa dinamica ereditata dalla versione TZ, mentre l’alimentazione era assicurata dalle due pompe elettriche Bendix, fissate alla scocca, sotto il sedile posteriore a destra (alcuni preparatori, come torinese Renato Monzeglio, preferivano la pompa singola). Le pompe entravano in funzione ad ogni contatto per l’accensione del motore, assicurando la pressione costante di 1,3 bar del flusso del carburante in arrivo ai carburatori. Sul coperchio delle punterie era presente il tappo per il rabbocco dell’olio di forma particolare che, inizialmente, nella vettura da corsa, mandava l’eccesso dell’olio liberamente in aria ma nelle versioni successive era collegato ad un contenitore per l’olio fissato sul fianco sinistro del vano motore che rimandava l’olio recuperato verso la coppa. Questo sistema fu introdotto in adempienza dell’allegato J della FIA per il 1966. Il coperchio delle punterie era in Elektron riconoscibile dal caratteristico colore scuro, e nello spazio fra le bancate della testata si contavano 8 candele Golden Lodge 2HL, ma per i motori preparati si preferivano le Lodge RL46, RL47, o RL49 (la scelta era dettata dal circuito), collegate con 8 cavi di colore verde al grosso spinterogeno Marelli S119A, situato sul lato destro del coperchio anteriore del motore. Il sistema a due candele per cilindro garantiva un rendimento del motore più elevato migliorando la combustione. La scintilla giusta era assicurata dalle due bobine Marelli BZR200A, o Bosch Blu Coil, fissate sulla lamiera della parete destra del vano motore, ed il fabbisogno elettrico era assicurato dalla dinamo Bosch che dalla fine del 1968 è stato sostituito dal più moderno alternatore dello stesso marchio. Motorino di avviamento, appositamente alleggerito era sempre della tedesca Bosh. In Elektron erano anche il coperchio anteriore del motore con l’alloggiamento dello spinterogeno, (usato solo nelle prime versioni, e sostituito poi da quello d’alluminio opportunamente modificato, visto che si era dimostrato fragile) che ospitava anche la pompa dell’acqua che rimaneva di serie, e la coppa e sottocoppa dell’olio più profondi di quelle della GT di serie, attraversate dalle numerose nervature introdotte per dissipare il calore. I sottocoppa erano disponibili in tre misure diverse per la GTA in base alla preparazione della vettura e contenevano fino a 7,5 litri d’olio. Ma il vero capolavoro della GTA era la testata nelle due versioni: stradale e specialmente elaborata per le vetture da corsa. Fusa in lega leggera, e distinta dal numero in rilievo sul lato frontale, ospitava due alberi a camme, appositamente prodotti in acciaio speciale con alzata delle valvole di 10,50 mm, o quelli preparati dall’Autodelta per le vetture ufficiali da competizione. Le valvole, due per cilindro, erano inclinate a 80° ed a contatto diretto con l’albero a camme tramite bicchierini e spessori. Le sedi di appoggio di aspirazione e di scarico, erano portate allo spessore di 1 mm, e le valvole munite dalla doppia molla in acciaio al Cromo-Silicio, mentre le guide erano in Bronzo Manganese. Il gioco ammesso era di 0,425 mm per le valvole di aspirazione e di 0,575 mm per quelle di scarico. Tutti i condotti erano rettificati a mano e lucidati, e sulle vetture da corsa, collettori del lato aspirazione delle volte cambiavano il diametro o si imbussolavano in funzione della gara, per assicurare la fluidità dei giri motore ai bassi regimi di rotazione (condotti di diametro normale 37 mm e quelli imbussolati 33 mm). Le valvole, sempre in acciaio speciale, erano del diametro di 45 mm quelle di aspirazione, e di 41 mm quelle di scarico, che nelle versioni preparate per dissipare più efficacemente il calore, erano raffreddate al sodio liquido contenuto nello stelo (scheda H valvole al sodio). Il collettore d’aspirazione connetteva il gruppo dei due doppi Weber 45DCOE14 posti orizzontalmente sulla fiancata destra della testata. Sul lato sinistro era situato il collettore di scarico in lamiera d’acciaio del diametro di 36 mm, con rami leggermente conici a diminuire, da quattro si fondeva in due tubi, e poi in tubo unico, sempre in lamiera d’acciaio del diametro di 55 mm, verso le marmitte silenziate, ridotte in numero rispetto alla GT di serie nella versione stradale, o caratteristico scarico laterale che terminava sotto la porta, sulla variante da corsa. La tenuta fra la testata ed il blocco motore era assicurata dalla guarnizione speciale, ed il serraggio era fatto seguendo uno schema particolare. Il blocco del motore era rettificato e rafforzato per la versione da corsa ed alloggiava le canne in ghisa smontabili separatamente, caratteristica comune per tutte le Giulia GT. Albero motore era forgiato in acciaio speciale al Cromo-Molibdeno, rettificato e munito di 4 contrappesi, e montato su cinque supporti con cuscinetti a guscio sottile del diametro di 60 mm di marchio Vandervell ed assicurato al blocco con ponti in lega leggera. L’albero per la versione da corsa era munito di 8 contrappesi, bilanciato e rettificato sul banco prima del montaggio. Cuscinetti delle bielle, sempre a guscio sottile e sempre della Vandervell, erano del diametro di 50 mm, mentre le bielle erano di serie, ma rettificate ed egualizzate di peso con tolleranza di 0,05 gr, e con le boccole speciali. Anche i pistoni del marchio Borgo, erano forgiati, e di profilo particolare, progettato per le compressioni elevate. Sulle vetture da corsa si montavano pistoni speciali a due anelli del diametro 78 mm, o quelli a tre anelli del diametro 78 ,7. Anelli erano prodotti della Borgo, tipo 5240, del diametro 78,8 mm. La pompa dell’olio, maggiorata nella portata per i motori corsa, aveva l’asse di presa più lungo per azionare anche lo spinterogeno ed il pescante sostituibile in diverse misure in funzione della profondità della coppa e sottocoppa montato. Sul modello da corsa, la caratteristica sottocoppa si presentava con 6 nervature orizzontali, ed era pericolosamente vicina al suolo. Come rimedio contro urti accidentali, era omologata una griglia protettiva. Per raffreddare olio, a sinistra del radiatore dell’acqua, era posizionato radiatore aggiuntivo, disponibile su richiesta anche sulla variante stradale. Il radiatore dell’acqua della GTA era di dimensioni più piccole del radiatore della GT di serie (proprio per poter ospitare radiatore dell’olio), ma con massa radiante maggiore, grazie allo spessore del materiale adoperato. Liquido refrigerante (acqua, 7 litri) circolava spinto dalla pompa centrifuga posta sul coperchio del motore, mentre ventilatore era mosso dall’albero motore, che lo teneva in moto tramite la cinghia. Una doppia catena silenziata, anch’essa collegata all’albero motore, comandava gli alberi a camme. Sul lato destro del blocco motore, in apposito spazio rettangolare era punzonato il numero del motore composto dalle lettere AR, codice motore 00502/A, asterisco, e poi il numero di 5 cifre dal 18563 fino al 19695, identico per guida a sinistra e guida a destra, e senza ordine numerico preciso. Alcuni motori presentavano il codice AR 00532, ma per questo tipo di punzonatura la fabbrica non ha fornito mai una spiegazione, ed i motori erano comunque identici. Motori preparati dall’Autodelta a Settimo Milanese, avevano una punzonatura diversa, di poche cifre ma non esistono dati precisi riguardo questa numerazione preservati fino ad oggi. Freni erano composti da quattro dischi pieni del diametro di 266 mm, di spessore 9,525 mm, con superficie frenante del singolo disco di 51,5 cmq, per freni anteriori, e del diametro 246 mm e di spessore 9,525 mm e superficie frenante del 36,5 cmq per freni posteriori, con le pinze in alluminio del marchio Dunlop. Su richiesta era disponibile anche il sistema frenante assistito, omologato nel 1968, che si riconosceva dalla grossa pompa con depressore, fissata all’angolo sinistro del vano motore vicino alla paratia parafiamma. Nella variante della GTA prodotta sul pianale della GTA 1300 nel 1969, i freni erano dell’ATE, con diametro del 267 mm su tutte le quattro ruote, ma con dischi dello spessore diverso (11mm anteriori e 9,5 mm posteriori) con superficie frenante di 51 e 40 cmq rispettivamente. Le pinze dell’ATE erano in alluminio. Sulle sospensioni anteriori era montata la barra di stabilizzazione dello spessore di 19 mm, ma erano omologate anche le barre di 22, 24, e 26 mm, usate secondo le esigenze specifiche dei circuiti. Sull’assale posteriore erano omologate le barre dal 14 al 20 mm, e per facilitare il cambio, furono adottati bracci longitudinali appositamente adattati, con la barra posizionata in basso. Il fuso a snodo delle sospensioni anteriori era caratteristico, progettato esclusivamente per la GTA, più snello e più leggero del fuso montato sulle GT di serie. Dal 20 marzo 1966, le vetture destinate alle competizioni, munite sull’assale posteriore del sistema del centro di rollio dinamico, noto come “slittone”, montavano “rialzi” sull’estremità superiore del fuso a snodo nell’avantreno, alzando il braccio superiore e cambiando così angolo camber statico della vettura. Questo si era reso necessario per compensare il comportamento in curva dovuto all’assicurata presa delle ruote posteriori alla pista come risultato dell’azione dello “slittone”, e “rialzi” a forma di lettera “C” prodotti in acciaio forgiato assicuravano la posizione perpendicolare della ruota anteriore in curva anche in casi di forte spinta laterale. La piccola serie delle GTA, prodotta nel 1969 con numeri del telaio che cominciano con 848001 riprendeva il fuso a snodo identico a quello usato sula GTA Junior di 1300 ccm. Lo “slittone” ovvero il sistema di rollio dinamico che permetteva l’abbassamento del centro di rollio in curva, era originale sistema ideato dal ingegnere Garcea, e perfezionato all’Autodelta. Questa soluzione omologata all’inizio del 1966 consisteva in una struttura in alluminio che racchiudeva una slitta d’acciaio che sostituiva elemento di ancoraggio disposto trasversalmente e fatto a forma di lettera “T”, rimasto invece invariato sulla versione stradale e nelle versioni da corsa di alcuni preparatori privati (Conrero). Questo elemento consisteva in un binario che scendeva perpendicolare all’assale ed era collegato ad esso tramite un perno fissato sulla scatola del differenziale. Il perno camminando nel binario-slitta, cambiava il centro di rollio determinando una maggiore stabilità in curva e riducendo drasticamente sovrasterzo che causava, in alcune curve veloci, alzata della ruota posteriore interna dal suolo. La maggiore tenuta di strada del ponte posteriore così ottenuta, causava marcato sottosterzo, ed il famoso effetto di “zampa sollevata”, dal posteriore si era trasferito all’avantreno. La GTA però preservava la buona stabilità e risultava più veloce in curva delle vetture concorrenti anche correndo sulle tre ruote. Ammortizzatori Koni nella versione iniziale della GTA, non erano regolabili se non per aggiunta delle “tacche”, e sono stati sostituiti in seguito dagli ammortizzatori registrabili del marchio Bilstein, mentre le molle elicoidali, comuni alle molle di serie sulla variante stradale, andavano sostituite con le molle più dure e più basse sulle vetture da competizione. Proseguendo l’esame del fondo della GTA, si rivelava la campana in Elektron, con volano motore alleggerito in acciaio e la frizione meccanica monodisco con parastrappi progressivo, sostituita nel 1966 con la variante rinforzata. La versione per la corsa aveva il volano leggermente diverso, alleggerito e rettificato ed adoperava speciale disco della frizione per le competizioni. Il cambio era a cinque marce più retromarcia. Il sistema di sincronizzazione adoperato era di tipo Porsche e, a richiesta, erano disponibili diversi rapporti. Per la versione da competizione era sviluppato, sul suggerimento di pilota Giovanni Galli, un cambio ancor più ravvicinato, con la quinta marcia allungata, battezzato in onore del pilota “cambio Nanni”. Gli ingranaggi erano forati per alleggerire intera struttura, e su alcune vetture portate in corsa dagli altri preparatori, delle volte era montato cambio Colotti con rapporti ravvicinati, ed innesti diretti, privi di sincronizzatori. Albero di trasmissione era di diametro leggermente inferiore, i parastrappi in gomma e i bulloni di collegamento alleggeriti, e nelle versioni da corsa la struttura di supporto e di protezione era alleggerita con appositi fori. Il differenziale del tipo ipoidale era disponibile con vari rapporti che si potevano cambiare sul ponte, e su richiesta era disponibile anche il differenziale autobloccante con varie percentuali di chiusura. Semiassi erano alleggeriti e fatti in acciaio speciale. Su richiesta era disponibile intero assale posteriore con rapporti e alleggerimenti particolari. Lo sterzo era globoidale a rullo e richiedeva 3,7 giri per effettuare la massima sterzata con giro minimo di 10,7 metri. Tutta la sua potenza, la GTA scaricava sulle ruote con cerchi in lega 6, 6.5, o 7x14 prodotti dalla Campagnolo, e per le corse si affidava alle gomme Dunlop 5.00L SC65 o 5.50L SC65, mentre la versione stradale poggiava sulle 165x14, sempre della Dunlop ma anche Pirelli “Cinturato”. Per accomodare le più larghe gomme 5.50L SC, nel 1967 sono stati omologati i codolini sui parafanghi posteriori, prodotti in Peraluman e fissati con 22 rivetti. Dal 1969, codolini erano omologati anche sui parafanghi anteriori, fissati con 42 rivetti. Il sistema elettrico era comune per tutte le vetture della serie 105, a corrente di 12V e la batteria, prima posizionata sul lato sinistro del vano motore, dal 1967 fu spostata nel vano bagagliaio, per motivi di sicurezza. Nel bagagliaio era situato anche il serbatoio disponibile in tre versioni. Uno di 46 litri previsto originariamente e rimasto di serie, con il rifornimento laterale su tutte due le versioni, quella per uso stradale ed anche sulla versione destinata alle corse, uno maggiorato di 60 litri, e due progettati per le corse di lunga durata di capienza 80 e 90 litri e, omologati nel 1966. Per le versioni di 80 e 90 litri di capienza è stato omologato il sistema di rifornimento dal bocchettone situato sul coperchio del vano bagagli. Nelle versioni iniziali della GTA, il bocchettone era protetto da caratteristico coperchio a forma di gobba. Questo ultimo dettaglio chiude elenco di tutte le parti della GTA diverse da quelle usate sul modello GT di serie, e dalla vastità delle elaborazioni risulta evidente lo sforzo enorme fatto dai progettisti diretti da Carlo Chiti nella ricerca della soluzione migliore per ogni particolare della vettura in vista del suo impiego agonistico. Chiti è stato presente e partecipe in ogni fase di sviluppo delle nuove soluzioni, instancabile innovatore e maestro nel decifrare complessi codici dell’appendice K della FIA. In fondo, era lui il creatore della vettura per la quale a posto della solita domanda; “Dove si va a correre?”, si domandava “Dove si va a vincere la prossima settimana?”. La versione con la guida a destra prodotta in 50 esemplari era in tutto identica alla sorella con la guida a sinistra, e solo asse dello sterzo e la pedaliera sono stati spostati nella parte destra della vettura. Esiste un giudizio curioso, espresso da alcuni piloti, che attribuiva alla versione con la guida a destra la tenuta di strada migliore, visto che la versione con la guida a sinistra avendo la batteria ed il serbatoio nella parte sinistra e avendo nella stessa parte anche il peso del pilota, presentava un leggero squilibrio longitudinale. Questo presunto squilibrio andava compensato (teoricamente) con il contrappeso del pilota in versione con la guida a destra. Questa teoria non è stata mai seriamente esaminata ed è più la legenda urbana che la certezza confermata dalle prove.
Nel febbraio del 1965, viene presentata la versione da competizione dell’Alfa Romeo GT 1600 distinguibile dal suo acronimo GTA, dove A stava per “alleggerita”.
La vettura si distingueva esternamente dalla Giulia GT, che era in base del progetto, in pochi dettagli della carrozzeria, ma sotto il leggero rivestimento in lega di alluminio, Peraluman 23, c’era un motore spinto ed elaborato, ed anche il resto dell’allestimento era chiaramente costruito seguendo le regole della macchina da corsa.
Alfa Romeo GTA offerta al mercato, era di 200 kg più leggera dell’Alfa GT alla cui origine si richiamava, ed aveva un motore leggermente più potente della sorella (115 CV), ma che nella versione da pista saliva a 160 CV, il che trasformava la piccola coupé del biscione in temibile avversario sui circuiti.
L’esordio fu nello stesso 1965 alla gara in salita Trento-Monte Bondone, dove la GTA vince con facilità nel gruppo GT fino a 1600 cc. Iniziava così il mito della GTA, l’automobile costruita e destinata a vincere sempre.
La cura e preparazione per l’agonismo viene affidata all’Autodelta, piccola fabbrica che già curava le sportive del marchio, le vetture TZ e TZ2, con le quali Alfa Romeo raccoglieva successi nelle piste.
Nel 1966, l’Autodelta, proprietà del geniale ingegnere toscano Carlo Chiti e i fratelli Chizola, viene assorbita dall’Alfa Romeo e trasferita da Feletto Umberto (Udine) a Settimo Milanese nelle vicinanze della casa madre. I Chizola, poco disposti al trasloco abbandonano l’Autodelta e Carlo Chiti viene nominato direttore generale ed anche consigliere di amministrazione dell’Alfa Romeo.
Per l’Alfa è un periodo prospero e la fabbrica viene abilmente guidata dal nuovo CEO Giuseppe Luraghi, che con grande intuizione gestisce difficile rebus all’italiana che la fabbrica del Portello, proprietà dell’IRI rappresentava nella realtà industriale dell’Italia, paese che con ritrovato vigore cercava il suo posto in Europa e nel mondo.
La fabbrica erede di un glorioso passato, custodiva la tradizione che più di ogni altra al livello planetario, identificava il proprio nome con l’automobilismo sportivo e Luraghi memore dei trionfi passati, sentiva che il legame che Alfa Romeo aveva con la pista era indissolubile ed anche la garanzia della sopravvivenza del marchio.
C’era felice momento della rinascita industriale italiana quando con rinnovato vigore ed entusiasmo, imprenditori del settore automobilistico scoprivano la valenza dell’auto sport, come modo migliore per proporre propri marchi al mercato risvegliato dal conquistato benessere.
La pubblicità che nasceva dai successi nei circuiti e le polverose piste dei rally, incoronava le vetture che oltre la utilità dimostravano qualcosa in più, che precedentemente era riservato alle vetture fuoriserie. Nacquero così le automobili classificate come vetture Turismo che offrivano spiccate qualità sportive, una specie di automobile di famiglia che però poteva esaltare le qualità di guida, tenuta di strada e la vivacità delle vetture da sport.
Alfa Romeo era nel passato la fabbrica che produceva imbattibili vetture da corsa, automobili di fascia alta e talvolta anche le vetture che erano destinate alla clientela facoltosa della classe media, caratterizzate dalla tecnologia innovativa, che nel tempo si erano ritagliate posto in vetta.
Nell’immediato dopoguerra però, diventava chiaro che per garantirsi la sopravvivenza, la fabbrica, ormai di proprietà statale, doveva garantirsi l’utile dalla produzione di serie. In quella ricerca di equilibrio fra la qualità che il nome garantiva e la necessità di mantenere le finanze sul lato positivo della bilancia, nacquero progetti che negli anni a venire, saranno garanzia del successo indiscutibile della fabbrica milanese.
Nell’immediato dopoguerra era ancora l’eredità del glorioso passato portato all’Olimpo dai nomi come Ferrari e Ing. Jano, a garantire il ritorno e la conquista dei due campionati mondiali, ma si trattava dei progetti nati verso la fine degli anni ’30, e solo riproposti per grandi eventi sportivi con poche migliorie.
Erano i discepoli di Jano, giovani ingegneri in ascesa, Ing. Satta, Ing. Busso, Ing. Garcea, Ing. Surace…coinvolti nel lavoro del Servizio Esperienze Speciali, creatori delle energie che diedero al marchio le nuove famiglie di motori e vetture,
Giulietta e poi Giulia che con le ridotte cilindrate richieste dal mercato, erano la risposta vincente L’indovinata scelta dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), ente statale e proprietario del marchio dell’ingegno italiano e la capacità di ritrovare le nuove vie nella realtà europea e mondiale.
Alfa Romeo, per affidare le sorti della fabbrica di Portello al manager Giuseppe Luraghi, diede la necessaria linfa imprenditoriale alla realtà che Alfa già rappresentava, e fu sotto la sua saggia ed equilibrata direzione che la fabbrica conobbe il suo momento migliore, espansione e stabilità finanziaria.
Giuseppe Luraghi, nuovo amministratore delegato che ha preso il timone dell’azienda, era uomo di larghe vedute e brillante interprete dei tempi che correvano. Manager atipico, bravo scrittore e poeta era anche un discreto pittore, e non rispondeva allo stereotipo dell’abile capitano dell’industria immerso nelle strategie del profitto.
Oltre a difficile compito di stabilizzare precaria situazione finanziaria della fabbrica, riuscìva con la innata carisma a mitigare disaggio sindacale, e portare avanti sviluppo, tenendo a bada la invadenza dei politici pronti ad usare la fabbrica per propri scopi e interessi. Era uno stratega straordinario che riusciva a comprendere le richieste del mercato e progettare il futuro della fabbrica, non dimenticando però, la tradizione e un passato sportivo glorioso.
Personalmente innamorato dell’auto sport e memore dei trionfi passati, sentiva che il legame che Alfa Romeo aveva con le corse, doveva essere preservato, mantenuto, e rinforzato. Così, con il successo dei fortunati modelli Giulietta e Giulia, maturò la decisione di affiancare le vetture di produzione con la vera sportiva in grado da competere ad alto livello nella categoria Turismo, che in quel periodo, sempre di più infiammava il pubblico europeo. Nacque così una “abbordabile” vettura da corsa che sotto I ‘auspicio favorevole degli astri, vinse nel decennio a venire tutto quello che nell’auto sport si poteva vincere.
La nuova vera sportiva, l’Alfa Romeo Giulia, Gran Turismo Alleggerita, venne presentata, al Salone di Amsterdam nel febbraio del 1965, un salone d’automobile non di primo piano e quindi una cornice forse inadeguata per colei che diventerà una immortale regina, un vero capolavoro italiano. Era capostipite di una famiglia delle macchine da competizione destinate a conquistare il ruolo leader nel mondo delle corse al livello mondiale. In una sequenza temporale di continui successi sportivi, sono nate la Giulia 1600 GTA, Giulia 1300 GTA Junior, e la limitata serie delle Giulia GTA SA con il motore sovralimentato.
A questo elenco dobbiamo aggiungere anche la Giulia GT Am, che pur non essendo “alleggerita” e non la parte della stessa famiglia, era strettamente imparentata e anche essa la vettura dominatrice delle competizioni. Nei prossimi capitoli, dedicheremo ad ogni vettura della nobile stirpe GTA la descrizione dettagliata delle performances e le loro peculiarità.
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