Quali furono i motori simbolo del ‘Cuore Sportivo Alfa Romeo in F1?
Scopriamolo insieme in questo breve articolo.
Copyright Robert Little 2021
Dopo il ritiro dalle competizioni avvenuto alla fine della vittoriosa stagione 1951, stagione in cui la ‘Alfetta 159’ consentì a Juan Manuel Fangio la vittoria del titolo iridato, l’Alfa Romeo ritornò nel mondo della F1 nei primi anni 1970 con la sola fornitura dei propulsori.
Nel 1970 forni i propulsori 8 cilindri a V di 90° alla McLaren M14D di Andrea de Adamich e, nel 1971 alla March 711 di Nanni Galli e Ronnie Peterson.
Il propulsore, derivato dal 3 lt utilizzato dalle ‘Tipo 33-3’ che partecipavano al Mondiale Marche.
La voglia di tornare attivamente nella massima formula si concretizzò nel 1979, quando l'Alfa Romeo debuttò in gara con la ‘177’.
Alla 177 seguì la 179 e la 182, vetture che furono gestite dall’Autodelta fino alla fine del 1982, e fecero battere forte il cuore degli appassionati.
Dalla stagione 1983, scelte sbagliate, portarono alla definitiva scomparsa del marchio con la disastrosa stagione del 1985.
Ma Quali furono i motori simbolo del ‘Cuore Sportivo Alfa Romeo? che fece sognare gli appassionati del marchio fino al 1987? scopriamolo insieme.
Alfa Romeo ‘Tipo 105.80'
Il rientro dell'Alfa Romeo in Formula 1 avvenne nel 1970 grazie all’interessamento del presidente Luraghi che volle adottare il propulsore della 33-3 sport per la McLaren MD14.
Era un propulsore a V di 90° con misure di alesaggio e corsa di 86 e 64,4 mm (2993 cc), dotato di basamento in alluminio e testata in alluminio, con distribuzione a 4 valvole per cilindro e 2 alberi a camme per bacata e albero motore che ruotava su 5 supporti di banco.
Alfa Romeo 3000 V-8
Robusto e compatto, il V8 milanese aveva un’impostazione abbastanza simile a quella del For-Cosworth DFV (doble four valves). Alimentato da un sistema a iniezione meccanica indiretta Spica, nella versione affidata alla McLaren erogava una potenza iniziale di 403 CV a 9.400 giri, che venne incrementata fino a valori di 420-425 CV a 9.500 giri.
Nel 1971 passando all'applicazione sul telai della March 711, il V-8 milanese era in grado di erogare una potenza di circa 440 cv a 10.000 giri, potenza che era simile a quella erogata dai Cosworth.
Alfa Romeo ‘Tipo 105-12'
Presentato nel corso della stagione 1972, il boxer Alfa Romeo era uno dei propulsori tecnicamente più avanzati del suo tempo. Aveva il basamento in alluminio con camicie cromate, alesaggio di 77 e corsa di 53,6 mm 2.995 cc, albero motore montato su quattro supporti di banco, bielle in titanio e lubrificazione con ben quattro pompe di recupero. La testa era in alluminio, con quattro valvole per cilindro, inclinate di 35°, doppie molle e bicchierini per il comando a doppi assi delle camme, mossi da un treno di ingranaggi. Il suo peso iniziale è di 181 kg.
Archives of Robert Little
L'Alfa Romeo 12 cilindri contrapposti orizzontalmente come utilizzato nelle auto Brabham Alfa Romeo BT45B del 1978 e altre simili.
Courtesy Chris Sallee
The Alfa Romeo 'Tipo 1260'
Il propulsore utilizzato sulle 33TT12 erogava di 500 cavalli a 11.500 giri.
Dopo la conquista del Mondiale Marche del 1975, il ‘boxer’ venne montato sulle Brabham BT45 per affrontare la stagione 1976. Quando debuttò in F1 erogava una potenza di 517 cv a 12.000 giri e una coppia di 33 kgm a 9.000 giri.
Nel corso degli anni utilizza due tipi di iniezione indiretta, Lucas e Spica.
Nel 1977 fu sottoposto a un alleggerimento e il suo peso scese a 175 kg mentre la potenza salì fino ai 525 CV. Nel 1978 raggiunse la sua massima evoluzione e alcuni esemplari raggiunsero potenze di 535 e 540 CV in base alle diverse configurazioni.
Potente e affidabile, nel corso degli anni il "boxer" si dimostrò vincolante per la corretta evoluzione delle "wing-car" e venne quindi abbandonato.
Courtesy Archives of Estate of Rey Paolini
Il propulsore Alfa Romeo ‘Tipo 1260’ ossia 12 cilindri a V di 60°, caratterizzato da misure di alesaggio e corsa di 77,0 e 53,60 mm (2.995 cc), sfruttava tutte le esperienze del precedente boxer di cui manteneva alcuni particolari come l'albero a gomiti, le bielle, i pistoni e le testate.
Progettato dallo staff dell'Autodelta diretto dall'ingegner Chiti e realizzato in soli quattro mesi e mezzo, questo propulsore, grazie alla sua stretta architettura a V di 60°, venne realizzato in funzione del suo utilizzo su una vettura ‘Wing Car’.
Dall'aspetto granitico, la sua struttura era caratterizzata dalle bancate dei cilindri strette e alte, che gli conferivano un senso di solidità e grande potenza. Ogni gruppo di 3 cilindri era posto uno accanto all'altro con un identico intervallo d'accensione.
I collettori di scarico separati si univano con un sistema del tipo 3 in uno per poi sfociare in un unico scarico.
Il 12 cilindri Alfa si distinse anche per il suo tremendo rumore, tipico delle costruzioni molto frazionate.
Il propulsore V-60 consentì di realizzare ali interne più larghe di 40 cm che in curva, grazie al venturi laterali, davano una depressione valutabile in diverse centinaia di kg gravanti sulle ruote.
Al momento del suo debutto in pista, avvenuto sulla BT48 di Lauda nel dicembre 1978, aveva una potenza di 525 cv a 12.200 giri. Nell’ 1981 il 'Tipo 1260' cambiò misure di alesaggio e corsa che assunsero i valori di 78,5 e 51,5 mm (2.991 cc).
Nel corso degli anni conservò sempre un elevato standard di affidabilità e potenza arrivando a erogare, nelle sue ultime versioni, 540 cavalli a 12.300 giri e una coppia superiore al 35 kgm a 9.000-9.500 giri al minuto.
Alfa Romeo ‘Tipo 890T’
Questo propulsore, l’unico 8 cilindri della categoria, fu stato disegnato e costruito dall'Autodelta sotto la direzione dell'ingegnere Chiti.
Presentato staticamente in occasione del Grand Prix d'ltalia a Imola nell' 1980, entrò nel pieno del suo sviluppo solamente nell' 1982, anno in cui debutto a Monza.
Caratterizzato da dimensioni di alesaggio e corsa di 74 mm e 43,5 mm (1497 cc) pesava 130 kg. Interamente realizzato in lega, il propulsore sfruttava distribuzione a doppio albero a camme in testa con comando a ingranaggi, 4 valvole per cilindro, albero motore in acciaio forgiato nitrurato che ruotava su cinque supporti di banco, bielle in lega di titanio, con bulloni e dadi in acciaio.
Il progetto del propulsore venne inizialmente condotto utilizzando solamente componenti sviluppate in Italia, dalle turbine di Alfa Avio al sistema di iniezione meccanica-elettronica sviluppata in proprio da Alfa Romeo.
Queste componenti italiane furono alcuni dei principali punti deboli del motore, tanto che gli ingegneri di Alfa Romeo dovettero rivolgersi alla KKK per le turbine e alla Bosch per il sistema di iniezione del carburante. Ma nonostante i cambiamenti, i risultati non cambiarono.
Nei primi test il propulsore, sovralimentato da due turbine Avio era alimentato con una batteria di 8 carburatori Weber, e si dimostrò in grado di erogare 585 CV a 11.200 giri, e di fornire una coppia di 39 kgm a 10.000 giri. Nel successivo sviluppo, l'alimentazione fu affidata a un sistema di iniezione Spica, con distributore meccanico.
Con l’arrivo in Alfa Romeo dell’Ing. Tonti, il propulsore, pur mantenendo le caratteristiche strutturali di base, venne profondamente modificato con la sostituzione del blocco cilindri con canne integrali e trattamento in Nikasil, nuove testate con diverso disegno della camera di scoppio e valvole maggiorate, nuovi pistoni, nuovo sottocoppa in magnesio e coperchi valvole in fibra di carbonio.
Un ulteriore passo dello sviluppo è l’adozione di un’iniezione elettronica caratterizzata da una regolazione a tre parametri: regime, posizione della valvola a farfalla e pressione di sovralimentazione.
Negli allestimenti da gara, con pressioni del turbo dell'ordine delle 2 atmosfere, il propulsore sviluppava 600 cavalli a 10.500 giri, con 7:1 di rapporto di compressione e coppia di 45 kgm a 9.000 giri. Un’estensione fino a 2,3 atmosfere della pressione di sovralimentazione e l’innalzamento del regime di rotazione fino a 11.500 giri, consentì di raggiungere potenze di 650-700 CV.
Tra le altre modifiche apportate segnaliamo l’adozione nell’ 1984 del sistema di alimentazione con l'iniezione d'acqua, cui seguì il controllo elettronico dell'alimentazione, I'anticipo variabile e l'iniezione interamente elettronica.
Nella sua ultima stagione di gare, questo motore venne accreditato di una potenza di 800 CV a 11.000 giri, potenza che, ufficiosamente, poteva salire a 820-840 CV ad una pressione massima di sovralimentazione compresa tra i 2,6 e 2,9 bar.
Courtesy of Roberto F. Motta.
Alfa Romeo ‘Tipo 890T’ V-8 1500 Turbo
415 / 85T by Motto
Commentary by Senior Heritage Editor Vladimir Pajevic:
"415/85T"
Poco noto anche agli appassionati del marchio, il propulsore 415/85T è l’ultimo motore ‘turbo’ realizzato dall’Alfa Romeo, e chiude il ciclo costruttivo e produttivo di questa tipologia di propulsori destinati alla F1.
Il suo debutto pubblico avvenne nel gennaio 1987, in un momento quasi di disagio della Casa del Portello che, ormai di proprietà del gruppo FIAT, chiudeva un capitolo resistito 76 anni, anni costellati da smisurata gloria e da qualche breve periodo meno fortunato.
La Fiat, già proprietaria della Ferrari, Maserati e Lancia, aveva idee precise su come e dove investire nell’autosport e, data la presenza della Ferrari nella F1, e della Lancia nelle gare riservate ai prototipi e nei rally, relegò all’Alfa Romeo il compito di competere nelle corse Turismo (ormai prive di fascino di una volta) e al ruolo di fornitore di motori.
Tuttavia, pur se presentato in questo contesto e presto dimenticato, il propulsore 415/85T aveva le radici ben saldate nella storia del marchio e del suo “braccio armato”, l’Autodelta, piccola realtà, che nata nel 1963, era divenuta ufficialmente il Reparto Corse dell’Alfa Romeo dal 1966.
L’Autodelta, per la volontà dei tecnocrati dell’IRI, chiuse i battenti nel 1984. Ricordiamo che l’IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale, era un ente pubblico economico con funzioni di politica industriale, che fu istituito nel 1933 durante il periodo fascista, e che era proprietario anche della Alfa Romeo.
Carlo Chiti, il geniale ingegnere toscano, era già stato spodestato e allontanato dalla gestione dell’attività sportiva e, tutto quello che il vulcanico e instancabile tecnico ricercatore aveva creato, era rimasto nei cassetti ormai abbandonati nella sede dell’Autodelta a Settimo Milanese. Mentre il Reparto Corse era ormai stato trasferito a Senago, e diretto da Paolo Pavanello e la sua Eurocacing.
Il ruolo di Chiti fu affidato a Giovanni (Gianni) Tonti, bravissimo tecnico, artefice delle miracolose Lancia Beta Montecarlo e LC1 che doveva creare le condizioni della rinascita dell’Alfa nelle corse.
L’idea di un motore di 4 cilindri, sovralimentato e idoneo per l’uso in F1, era nata nella mente di Ing. Chiti, già nel 1983, visto l’esordio non proprio fortunato del V-8 890T, e questo progetto è tracciabile nello sporadico scambio di note fra Chiti e la sua squadra di progettisti.
Alfa Romeo, che adottava tradizionalmente il motore bialbero a 4 cilindri, aveva un’enorme esperienza sullo sviluppo di motori a 4 cilindri in linea, e questo parve la via più logica da seguire per sviluppare un nuovo propulsore.
Purtroppo, con allontanamento di Chiti, il progetto fu abbandonato al suo stato iniziale, assieme a un enorme quantità di altri progetti da realizzare. Così fu Tonti, uomo di buona intuizione, a riscoprire i piani e a proseguire lo sviluppo di questo propulsore.
Tonti, forte della sua esperienza con la LC1 e la Beta Montecarlo, aveva le idee chiare, e vide nelle basi del progetto tracciato da Chiti, un buon potenziale da sfruttare. Per tutta la propria vita professionale Tonti, uomo dell’Abarth e poi Lancia, aveva lavorato con motori a 4 cilindri, e l’orientamento verso questa soluzione gli era congeniale.
Le ragioni per l’utilizzo di un motore a 4 cilindri, erano molteplici: semplicità costruttiva, maggiore robustezza e resistenza dell’unità, leggerezza, minor numero dei pezzi da costruire e un ingombro ridotto rispetto ai propulsori più frazionati.
Il progetto di Tonti partì con il ridisegnamento radicale e il “suo” motore prevedeva un’iniezione elettronica Bosch con due iniettori per cilindro, una inedita soluzione del basamento motore che aumentava la rigidità, tenuta della testata ad anelli che rispondeva all’esigenza di affrontare la pressione e le temperature generate dalle turbine (erano due di dimensioni minori), ma non intaccava il peso dell’unità.
Venne prevista una versione che sfruttava un collettore di scarico per ogni valvola di scarico, mentre una seconda versione prevedeva l’utilizzo di quattro tubi incrociati con le turbine, scelta che consentiva l’impiego di una turbina per due cilindri, soluzione già vista sia sulla Beta Montecarlo che sulla LC1.
Il numero dei componenti del quadricilindrico era dimezzato, rispetto al V-8, il che facilitava la revisione e, naturalmente, anche il peso (122 kg) risultava inferiore a quello del propulsore 890T.
Il 30 giugno 1985, il motore fu testato al banco, dove venne accreditato di una potenza di 830-850 HP a 10,500 rpm.
Nell’aprile del 1986 il motore fu istallato su di un vecchio telaio 185T che l’Alfa Romeo aveva in officina. Dato che il quattro cilindri, a differenza del V-8, non poteva.
Courtesy Archives of Estate of Rey Paolini
Alfa Romeo 415 / 85T 1500 Turbo
Courtesy Archives of Estate of Rey Paolini
Ligier Alfa Romeo
Courtesy Archives of Estate of Rey Paolini
Ligier Alfa Romeo
Alfa Romeo 'Tipo 1035'
Consapevoli del futuro cambio dei regolamenti che prevedeva, dall’1989, l’introduzione dei propulsori aspirati da 3,5 litri in F1, la dirigenza Alfa Romeo decise di sfruttare un propulsore 10 cilindri a V di 72°.
Il progetto prese il via ufficialmente nel novembre 1985 sotto la dirigenza dell’ing. Tonti.
Il propulsore Alfa Romeo 1035 (10 cilindri-3,5 litri) fu il primo 10 cilindri della storia della F1 moderna (Honda presentò un manichino del propulsore solo un mese dopo la realizzazione del V-10 italiano e la Renault realizzerò il suo V-10 solamente un anno dopo).
Questo V-10 era caratterizzato da misure di alesaggio e corsa di 88,0 e 55,5 mm (3495cc). Aveva il blocco il blocco motore in lega di alluminio, bielle in titanio, pistoni (con due segmenti) raffreddati con getto d’olio. Inizialmente, le teste erano del tipo a quattro valvole per cilindro ma furono poi sostituite con nuove testate a cinque valvole per cilindro.
Le valvole erano in titanio, e attivate da 4 alberi a camme. La prima riunione tecnica per impostare il motore 10 cilindri fu del Ottobre 7,1986 a cui parteciparono Tonti, Agostino e Antoniazzi.
Il lavoro di progettazione del propulsore iniziò dopo che la commissione tecnica della FISA-FIA ed i costruttori decisero le nuove regole sui motori aspirati nel corso del week-end del Grand Prix d' Italia dello stesso 1986. Il propulsore fu provato per la prima volta al banco il 1° luglio 1987.
Nella sua ultima versione il propulsore erogava 620 cv a 13,300 giri con una coppia di torsione massima di 39 kgm a 9500 giri.
Venne dapprima montato sulla 164 Pro-Car e quindi alla fantascientifica e meravigliosa Group C SE048.
Entrambe le vetture non furono mai impiegate in gara, in particolare la SE048, non fece mai nemmeno un solo giro di pista.
Courtesy of Centro Documentazione Alfa Romeo, Arese
Qui è mostrato l'Ing. Gianni Tonti con il suo motore "Tipo 1035" V-10 da 3,5 litri in fase di sviluppo.
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