"Fleron T-33"- il Primo Vincitory
AR750.33.001
"Dio Salvi La Regina"
Vladimir Pajevic
Senior Heritage Editor
Chia ha vinto la corsa a Fléron?
Fra i ritagli dalle vecchie riviste, ho trovato la pagina, scelta chissà perché e quando, con la fotografia di Carlo Chiti, Giovanni Manfredini e Giuliano Luppi che osservano una splendida 33.3.
Il testo, l’intervista a Giuliano Luppi, è un appassionato elogio alla primogenita di tutta la stirpe delle 33, la “Periscopica”, che al proprio esordio vinse la corsa, per sempre ricordata come il primo passo del grande ritorno sulle piste del marchio milanese ormai da tempo assente dalle competizioni.
Luppi attribuisce convinto alla primogenita della famiglia, la AR750.33.001, la corona d’alloro a Fléron, sobborgo di Liegi in Belgio.
Questa affermazione, espressa con fermezza e dovizia di particolari, richiama però un altro, opposto, parere, pronunciato con simile fervore dalle pagine di un libro pubblicato di recente, dove gli autori, vantando una lunga permanenza nell’archivio del Centro Documentazione, hanno riscritto la storia finora accettata delle 33/2.
Secondo loro, in base alle fatture e note scritte lasciate dall’Autodelta, sono emersi dalle nebbie dei dati incerti, numeri dei telai a lungo cercati, per confermare la vera storia delle vetture ornate dal quadrifoglio verde nei fianchi.
Ma quale vettura ha vinto veramente la gara nella grigia cornice del hinterland di Liegi, quella fredda mattina del 12 marzo 1967?
È possibile che il bravo telaista Giuliano Luppi, che meglio di chiunque altro conosceva ogni vettura costruita, abbia confuso in modo così grossolano la macchina impiegata?
Il nome del pilota, dominatore della corsa, Teodoro “Dorino” Zeccoli, che ha sostituito l’indisposto Andrea de Adamich, è indubbio, e fu lui protagonista di quel primo trionfo sulla lunga strada verso il mondiale conquistato anni dopo, sostenendo dure battaglie nei circuiti.
È la vettura con la quale ha trionfato, messa in discussione e oggetto dei pareri discordi. È doveroso dedicarvi una ricerca nel tentativo di risolvere l’arcano, pur rispettando il buon senso, con l’augurio di trovare il nesso giusto e chiudere ogni polemica una volta per tutte.
Ed McDonough, raffinato conoscitore dei misteri Alfa Romeo, scrisse in un suo testo:
“Spiegare l'evoluzione dei modelli da competizione dell'Alfa Romeo è, nella migliore delle ipotesi, impegnativo e il più delle volte esasperante. Dopo circa 25 anni che ci ho lavorato, ci sono quasi riuscito, ma non mi fido mai della mia memoria senza fare riferimento agli esperti giusti.”
Quale indicazione migliore che cercare la risposta alla fonte? Ed è così che ho interpellato architetto Marco Cajani, esperto delle vetture del Biscione, nonché proprietario e custode della AR750.33.001, la mitica vettura chiamata in causa.
A Seregno, fra gioielli della sua collezione, figura in bella vista la “Periscopica”, la “Fléron type”, distesa pigramente con il suo impalpabile e sfuggente, quasi divino, fascino.
Marco è un cordiale eterno ragazzo, un ottimo pilota, e instancabile conversatore sui temi Alfa Romeo, con un immenso bagaglio di conoscenza. Quando gli ho spiegato il motivo della visita, ha riflettuto un po’ ma poi con un disarmante sorriso mi ha detto:
“Tu sei pittore. Se un giorno qualche critico d’arte, bravo e conosciuto quanto vuoi, attribuisse con tanto di certificato una tua opera a qualche altro autore, e il proprietario di quel quadro, spinto da un suo qualsiasi dubbio, venisse a chiedere il tuo parere, quale dei giudizi espressi sarebbe quello giusto e accettato?"
"All’epoca, la questione sulla vettura che vinse a Fléron non si poneva. Comunque, nel curriculum sulla 750.33.001 ci sono due testimonianze esclusive; una è la dichiarazione certificata scritta da Chiti e depositata al Centro Documentazione Museo Alfa Romeo, che in modo inequivocabile identifica quanto acquistato (in ogni sua parte), ossia la AR750.33.001, come la vettura che vinse la corsa a Fléron; l’altra testimonianza è la sottoscrizione di Teodoro Zeccoli, che l’ha autografata con il numero 215, che era lo stesso della gara di Fléron, ricordando che la vettura in questione era quella utilizzata nell’evento in Belgio".
"Zeccoli è entrato nell’abitacolo dell’auto, verificando anche i particolari e riconoscendo addirittura il diametro corretto da lui voluto per il volante. Avere le conferme da colui che l’ha costruita e dal pilota che l’ha portata alla prima vittoria credo siano testimonianze ineccepibili. Poi ci sono gli altri ricordi e documenti, diretti e indiretti, che confermano che era stata proprio la AR750.33.001 a scendere in pista a Liegi".
"Sul telaio si trovano le firme di Carlo Facetti, Nini Vaccarella, Nanni Galli e Arturo Merzario, piloti che l’hanno usata durante la sua vita agonistica e anche in seguito. Dalla vasta panoramica del materiale documentario fotografico, si deduce senza ombra di dubbio che la vettura fotografata a Fléron rimane unica e riconoscibile, diversa in molti particolari dalla AR750.33.004, chiamata in causa come possibile macchina usata per quella corsa. Orbene, senza l’intenzione di suggerire delle soluzioni, lascio trarre a ognuno le conclusioni.”
Dunque, io le mie le ho già fatte. Anzi, molto prima dell’incontro con Cajani, e come ulteriore conferma, vorrei aggiungere un chiarimento, chiamando di nuovo come testimone Ed McDonough:
“… ambedue strutture, Alfa Romeo e Autodelta, hanno prodotto scarsa documentazione sull’attività sportiva delle vetture da corsa, e non esiste un archivio con dati scritti in grado di identificare con chiarezza quale numero del telaio partecipò in quale evento…”
I dati tecnici inerenti all’uso delle vetture da corsa Alfa Romeo avrebbero dovuto essere accompagnati da documentazione prodotta da Autodelta che riguardava le sessioni di prove sul circuito di gara, l’elenco dei controlli fissi da effettuare su ogni vettura prima delle gare (l’elenco è composto da 160 voci!), e le specifiche delle prove fatte a Balocco per ogni vettura, riportando il numero di telaio e il numero del motore.
Pertanto, tutto un fascicolo di documentazioni che servivano per deliberare l’uso della vettura per la gara. Terminata la gara, l’auto veniva riprovata con la relazione delle anomalie riscontrate. In assenza di questa documentazione (i documenti dell’Autodelta sono stati, ahimè, persi nello sfortunato trasloco da Settimo Milanese a Senago nel 1983), gli unici che potevano affermare quale fosse l’auto utilizzata in quella specifica gara erano il direttore generale (l’ingegnere Carlo Chiti), ingegneri di pista, il collaudatore e i piloti.
È risaputo e documentato che la consolidata prassi di usare documenti già compilati di un’auto ai fini amministrativi su più vetture (la prassi non solo italiana!), e in base a questo è chiaro che nella stragrande maggioranza dei casi i dati erano solo ed esclusivamente risultanze di atti della gestione amministrativa tra Autodelta e la Direzione Generale Alfa Romeo, stipulati per soddisfare la contabilità finanziaria tra le due società, riguardo il lavoro svolto di Autodelta per giustificare le spese e ottenere finanziamenti dalla Direzione Generale, in base alla relativa relazione tecnica e sportiva sull’attività intrapresa dall’Autodelta.
Pretendere oggi di riscrivere la nota storia degli anni d’oro dell’Alfa Romeo, comporta che l’autore avrebbe avuto tutto il tempo di chiedere chiarimenti e far sottoscrivere una dichiarazione di quanto da lui sostenuto ai diretti attori: direttore generale, collaudatore e piloti.
Solo così avrebbe avuto la convalida di ciò che voleva affermare. Le polemiche sterili vanno chiuse senza altri commenti.
Vladimir Pajevic