Foto: Centro Documentazione Alfa Romeo di Arese e Stellantis
Courtesia Stellantis
Mario Andretti ha ottenuto trionfi sia negli Stati Uniti che in Europa. Ha corso e vinto in varie categorie, tra cui F1, IndyCar, NASCAR e Prototipi. È stato campione della F1 nel 1978 e ha vinto la 500 Miglia di Indianapolis nel 1969, dimostrando il suo talento e la sua versatilità in qualsiasi categoria abbia corso.
Nato a Montona d'Istria il 28 febbraio 1940, Mario Andretti è uno dei piloti più noti ed eclettici del panorama motoristico internazionale. Ha corso e vinto in tutte le categorie internazionali: ha vinto la Indy 500 del 1969, il Mondiale marche con Ford, Ferrari e Alfa Romeo e il Mondiale piloti F1 nel 1978 con la Lotus 78, la prima vettura da Gran Premio che sfruttava l'effetto suolo.
Mario ebbe i suoi primi contatti con l'Alfa Romeo quando fu ingaggiato per disputare la 24 Ore di Daytona con la 33/2. Era già un pilota affermato e con una buona esperienza sui tracciati americani. In quell'occasione, corse in coppia con Lucien Bianchi e, durante la gara, nonostante un incidente che coinvolse la sua Alfa Romeo Tipo 33/2, riuscì a completare la corsa classificandosi al 5º posto assoluto, vincendo la sua categoria.
Nelle interviste dell'epoca, Mario disse che guidare quella vettura fu un'esperienza unica, soprattutto considerando che era la prima volta che guidava un'auto con un motore così piccolo (2.0 litri). Nonostante mancasse di potenza rispetto alle Porsche 907 e le difficoltà affrontate in gara, essere parte del team Autodelta fu qualcosa che avrebbe ricordato per sempre.
Courtesy Centro Documentazione Alfa Romeo di Arese and Stellantis
E fu così. Mario fu sempre pronto a calarsi nell'abitacolo di una vettura Alfa Romeo e rispose subito alla successiva chiamata che ricevette nel 1974, quando gli fu affidata la 33TT12.
Il 25 aprile, sotto una pioggia torrenziale e un clima con temperature invernali, Mario e le Alfa Romeo tennero testa alle Matra, Campioni del mondo in carica, conquistando una vittoria epica con i primi tre posti della classifica assoluta. Mario si impose in coppia con Arturo Merzario davanti alle vetture di Rolf Stommelen e Carlos Reutemann, e di Vittorio Brambilla e Jean-Pierre Jarier.
La leggenda racconta che, alla fine, qualcuno vide l'ingegner Chiti piangere dalla gioia e telefonare subito al suo vecchio capo, il Presidente Giuseppe Luraghi, per comunicargli lo splendido risultato.
Il contesto nel 1974
Dobbiamo ricordare che l'Alfa Romeo era un'azienda appartenente all'IRI, e che l'IRI era al centro di una disputa politica all'interno del centro-sinistra, che allora governava il Paese.
I socialisti volevano sostituire l'Presidente Luraghi con il presidente dell'ACI Filippo Carpi de Resmini, mentre la Democrazia Cristiana si oppose e riuscì a far nominare un presidente di transizione che sarebbe stato in carica dal 25 gennaio al 2 ottobre 1974.
Luraghi fu quindi sostituito da Ermanno Guani, che non era ostile alle attività dell'Autodelta, ma che era soprattutto attento a non discutere gli ordini dei superiori.
Con l'uscita di scena di Luraghi, anche Ing. Rudolf Hruska lasciò l'azienda, in cui dal 1967 diresse il progetto 'Alfasud' e la costruzione dello stabilimento di Pomigliano d'Arco.
Quell’anno, il destino dell'Autodelta entrò in una fase di incertezza e di riduzione dei costi che, anni dopo, portò alla decisione di abbandonare le competizioni.
A supportare le scelte della dirigenza si aggiunse la crisi energetica derivante dalla guerra del Kippur, che comportò un forte aumento del costo della benzina.
Per affrontare la crisi, molti governi introdussero misure di austerità, come il divieto di circolazione per le auto private nei giorni festivi, la chiusura anticipata di cinema e teatri e la riduzione dell'illuminazione pubblica.
Inoltre, il cambio della dirigenza portò l'Autodelta a godere di una minore autonomia, tanto che lo stesso Ing. Carlo Chiti dichiarò che, con l'addio dell' Presidente Luraghi, la nuova amministrazione fece di tutto per convincere i vertici che l'impegno nelle corse fosse uno spreco di denaro e che non ebbe più la libertà decisionale di cui godeva in precedenza.
Dopo aver descritto il contesto, torniamo alla nostra intervista.
Mario, cosa ricorda della 1000 km di Monza del 1974?
"Con l'Alfa Romeo mi sono sempre trovato bene, e correre a Monza fu una cosa speciale. Era la pista dove, nel 1954, avevo assistito per la prima volta a un Gran Premio di F1. Correre su questa pista è sempre stata una forte emozione, mi sentivo a casa.
"Quella gara fu un'esperienza bellissima, anche perché andò tutto bene.
"Partimmo dalla pole e, anche se la gara fu impegnativa e si svolse su pista bagnata, la macchina si dimostrò superiore alle vetture degli avversari. Arturo ed io non avemmo problemi particolari, cosa di cui non furono immuni le altre due Alfa Romeo, ma alla fine ottenemmo una vittoria schiacciante con tre vetture ai primi tre posti.
"La squadra era fantastica e con Arturo, il cowboy italiano, lavorai molto bene.
"Insomma, fu fantastico!
"Nella squadra lavoravamo in armonia, anche con Chiti, un personaggio un po' difficile, ma molto bravo.
"Mi trovavo bene anche con l'ing. Gianni Marelli, che purtroppo è scomparso lo scorso ottobre. Eravamo amici di lunga data, siamo cresciuti insieme, un po' come se fossimo cugini.
"Correre per i team italiani mi è sempre piaciuto, perché mi trovavo bene e avevo l'opportunità di allenarmi con il mio italiano.
"Riguardo a questo, ho un aneddoto divertente che successe anche quando andai alla Ferrari: alcuni meccanici non sapevano che parlassi italiano. Quando presi le misure per l'abitacolo e il sedile, parlando tra loro dissero 'sono misure simili a quelle per il sedile di Merzario'. Il giorno dopo, quando arrivai ai box, e parlai ai meccanici in italiano, rimasero con una faccia stupita".
Lei corse con la 33TT12 anche nel 1975. Come andò e che differenza ricorda con la vettura del 1974?
"Nel 1975 corsi solo a Watkins Glen e non ci fu un gran feeling con la macchina. Non riuscivo a trovare il giusto bilanciamento nell'assetto della vettura, avendo problemi sia di meccanica che di aerodinamica. Chiesi di fare delle prove sulle sospensioni posteriori, ma il team non fu d'accordo. Così non trovai le condizioni ideali (la vettura del 1975 aveva sospensioni e gomme diverse da quelle del 1974).
"La vettura del 1974 era assolutamente più efficace e bilanciata. Relativamente al propulsore, andava sempre benissimo, senza differenze apprezzabili rispetto a quello dell'anno precedente. Fu un peccato che non riuscissi a sfruttare tutta la potenza del motore, che era un bel motore, molto robusto.
"Un aneddoto divertente, relativamente al motore: durante le prove, alla ricerca del tempo, andai fuori giri. Rientrato ai box, dissi a Chiti: Ingegnere, mi dispiace di essere andato fuori giri. Mi rispose: 'Ma non parlarmi di fuorigiri, a me non interessa dei fuorigiri, piuttosto come va sto motore' ".
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Watkins Glen 1975 dove è stato conquistato il titolo di Campione del Mondo.
Negli anni 1980 corse con la 179 in F1. Cosa ricorda?
"Alla fine del 1980, con l'appoggio della Marlboro, avrei potuto correre con la McLaren o con l'Alfa Romeo", ci spiega Mario. "Scelsi l'Alfa Romeo. La scelta fu semplice: avevo una forte amicizia con Gianni Marelli che mi convinse sulla bontà della macchina, poi perché consideravo la 179 una vettura vincente; soprattutto mi aveva impressionato l'eccezionale prestazione di Giacomelli nella gara di Watkins Glen. Inoltre, mi convinse l'idea di tornare a lavorare con l'ingegner Marelli, con cui, come ho già accennato, ho sempre avuto un ottimo rapporto anche personale.
"Purtroppo, l'anno successivo, il cambio dei regolamenti che prevedeva l'altezza minima di 6 cm da terra, l'eliminazione delle minigonne e l'utilizzo delle gomme Michelin causato dal ritiro della Goodyear alla fine del 1980, cambiò tutto.
"Fin dalle prime gare della stagione, le altre squadre s'inventarono i sollevatori idraulici, ossia un sistema che consentiva di superare le verifiche prima dell'ingresso in pista e di abbassare la vettura in pista ritrovando l'effetto suolo e con esso la competitività.
"Ricordo che chiesi a Chiti di montare questo marchingegno anche sulle nostre vetture, ma Chiti si rifiutò asserendo che si trattava di una furbizia che avrebbe messo la vettura fuori dal regolamento. Così non fummo mai in grado di essere competitivi al 100%.
"Ebbi la conferma che sarebbe bastato adeguarsi al comportamento delle altre scuderie quando convinsi l'ingegnere Marelli a fare alcune prove con la vettura in assetto abbassato. La macchina cambiò radicalmente il suo comportamento e subito effettuammo ottimi tempi sul giro, che non saremmo riusciti a ottenere con la vettura priva dei sollevatori idraulici", dopo un sospiro, Mario aggiunge:
"Non condividevo le scelte tecniche imposte dalla dirigenza Alfa: in Belgio, dopo l'ennesima discussione, presi la borsa con il mio casco ed ero arrivato sul punto di andarmene dalla squadra. Ciononostante, devo ammettere che la vettura aveva un ottimo motore e un gran telaio.
"La 179 era una vettura bella da guidare e avrebbe potuto darci molte più soddisfazioni, se solo Chiti avesse voluto ascoltarmi. Sono certo che avremmo lottato e vinto qualche gara. Invece... La stagione finì con pochi risultati. Poiché la McLaren e la Ferrari avevano ormai completato la squadra, decisi di abbandonare la F1."
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Come si trovava con i colleghi del team?
"Non ho mai avuto problemi con i compagni di squadra.
"Alla Ferrari mi trovavo molto bene con Ickx: mi lasciava fare l'assetto e cercare di fare il tempo in prova, cosa che mi piaceva. Mi è sempre piaciuto cercare di ottenere il massimo in qualifica. All'Alfa Romeo, con Arturo andavamo molto d'accordo; avevamo le stesse esigenze e ci piaceva correre insieme. Anche con i tecnici avevo un buon rapporto: mi fidavo di loro e loro di me. Non c'erano problemi.
"Gli unici problemi che ho avuto, ma qui parliamo della F1, erano con l'ing. Chiti, che a volte era difficile da convincere, anche su cose semplici.
"Ricordo che un giorno, alla mattina del Gran Primo del Belgio, non voleva assolutamente apportare delle semplici modifiche che sapevo avrebbero funzionato. Arrivai ai box con il mio borsone e gli dissi: 'Ingegnere, io me ne vado'. Alla fine si convinse. Era bravissimo, ma anche un po' particolare."
La sua gara più bella con le Alfa Romeo, quella che ricorda con maggior piacere?
"Semplice: la gara più bella è sempre quella dove vinci. Quello è quello che vuoi ricordare, il resto delle gare sono esperienza"
Come giudica l'attuale mondo delle competizioni?
"Tutto cambia: cambiano le macchine, cambiano i piloti, ecc.
"Noi, piloti degli anni 1970-1980, in pista eravamo professionali esattamente come i piloti di oggi, ma una volta scesi dalla vettura sapevamo goderci l'amicizia dei colleghi e la vita.
"I piloti attuali hanno un altro stile di vita: sono un po' troppo prime donne, non vogliono avere contatti con gli appassionati e intendono la vita diversamente da come la intendevamo noi.
"Inoltre, hanno la tendenza a fidarsi troppo del responso del computer. Mi piace il fatto che si sia in grado di sapere esattamente cosa sta succedendo sulla macchina: dalla pressione delle gomme alle condizioni del motore e così via, ma la cosa diventa negativa quando i piloti si appoggiano solo sulle risposte del computer e non sanno prendere decisioni autonome.
"Abbiamo più sicurezza avendo tutto sotto controllo, ma si lascia meno spazio alla fantasia del pilota. La fantasia è una cosa che manca.
"C'è stato anche un grande cambiamento nel rapporto dei piloti con i tifosi. Ora i tifosi non hanno la possibilità di contatto con i loro beniamini. Per conto mio, le cose cambiano, ma non sempre cambiano in meglio e, nel nostro sport, i tifosi sono indispensabili.
"Senza di loro il nostro sport non esiste.
"Per un pilota, i tifosi sono fondamentali: avere gente che ti sostiene ti dà coraggio.
"Ma non ti dico niente di più di quello che entrambi conosciamo"
Conclusioni
Mario Andretti rimane una figura emblematica nel mondo delle corse automobilistiche.
La sua carriera straordinaria e le sue numerose vittorie lo hanno reso un'icona per appassionati e piloti di tutto il mondo.
Anche dopo il ritiro dalle competizioni, Andretti continua a influenzare il mondo del motorsport con la sua esperienza e il suo impegno nel sostenere le nuove generazioni di piloti.
Grazie, Mario, per aver condiviso con noi i tuoi ricordi e per il tuo contributo ineguagliabile al mondo delle corse
Roberto Motta
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