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1972 Targa Florio-English

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Scarabeo-105.33 Italian

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T33 V-8 Stradale English

T33 V-8 Stradale Italian

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Andrea de Adamich 

 


Foto Courtesia Roberto Motta.

Andrea de Adamich Ricorda l’Autodelta

Testo di Roberto Motta


Nel giorno esatto dei sessant’anni dalla fondazione dell’Autodelta, al Museo Alfa Romeo è si è vissuta una fantastica festa cui hanno partecipato alcuni dei protagonisti che hanno contribuito a scrivere la leggenda di una squadra corse unica.


Lo scorso 5 marzo, per il 60º anniversario di fondazione dell’Autodelta, lo storico reparto corse del Biscione, il Museo Storico Alfa Romeo, in collaborazione con l’Alfa Romeo Club Milano, ha festeggiato gli uomini e le vetture che hanno contribuito alla nascita di un mito.


Dopo la sfilata delle vetture, gli ospiti si sono riuniti nella sala conferenza, dove ad attenderli c’erano due simboli del mondo Alfa Romeo, la TZ e la 33tt12 con cui la Casa del biscione vinse il Campionato Mondiale Marche nel ’75 ma, soprattutto, c’erano gli uomini Autodelta. Tra inumerosiospiti abbiamo ascoltato Andrea de Adamich, campione europeo Turismo nel ‘66 e ‘67 con la Giulia GTA, ha ricordato quegli anni come ‘momenti irripetibili’. 

Alla platea di appassionati, in religioso silenzio, de Adamich ha raccontato:


“L’Autodelta è stata un reparto corse unico. Nessun altro reparto corse può essere paragonato con l’Autodelta. Nel tempo è stata impegnata su tutti i fronti, dalla pista ai rally, dalle gare in salita a quelle di motonautica.  l’Autodelta non era solo una famiglia, era qualcosa di più. Grazie a Chiti, era
una squadra che lavorava professionalmente, con un affiatamento e un concetto di squadra che ora non esiste più.

"Il periodo che ho trascorso all’Autodelta è stato un periodo bellissimo e molto importante nella mia vita. Avevo come compagni di squadra dei piloti validissimi: c’erano piloti stranieri come Stommelen, Hezeman, Peterson e altri. Il pilota più veloce del periodo era Gijs van Lennep: Un olandese che in
Sicilia, alla Targa Florio, dava dieci secondi al giro a Vaccarella, che era palermitano e che conosceva perfettamente quelle strade. 

"Tra gli Italiani c’erano Nanni Galli, Ignazio Giunti e il velocissimo Teodoro Zeccoli. Zeccoli era il recordman del Balocco. Io ho visto la nascita del circuito di Balocco ma su questo circuito, Zeccoli era ‘imprendibile’, era velocissimo tanto da migliorare costantemente il record della pista. Tuttavia, quando girava su altri circuiti, non era veloce quanto Nanni Galli o più veloce di me, anzi, era un po’ più lento. Quindi non capivamo come potesse essere così veloce al Balocco: era tanto veloce da darci 2” a giro.

"Così cominciammo a pensare che forse non completava l’intero percorso del circuito. Al Balocco, poco prima della fine del lungo rettilineo, c’era la possibilità di inserirsi sul tratto di ritorno accorciando la lunghezza del tracciato, e quindi di guadagnare quei 2” che lo rendevano più veloce di tutti noi.

"Incominciamo a pensare che Zeccoli facesse il ‘furbo’ e, dato che ai tempi non c’erano le telecamere, tagliasse parte del circuito proprio per essere più veloce. Così, Galli, Giunti e io, di nascosto, andammo all’inizio del rettilineo di ritorno, dove c’era una capannina, nella quale potevamo nasconderci e, senza essere visti, controllare il comportamento di Teo.

"Teo non ‘barava’ ma guidava al Balocco inserendo le marce giuste per ottenere il miglior tempo, mentre noi guidavamo come in gara.  Nella curva di ritorno noi entravamo con la seconda marcia, e percorrevamo la curva con questa marcia per stare nei giri, mentre lui si inseriva in curva e, dopo un breve tratto, inseriva la terza. Questo gli consentiva di evitare che le ruote patinassero e in tal modo risultava più veloce.'

"Ho corso con tutte le auto dell’Autodelta, e ho vissuto la nascita di questa grande Squadra Corse.

"Ho iniziato a correre nel 1962, e sono stato campione italiano F3 nel 1965, ho
corso con tutto, anche nei rally, il risultato più importante in questa categoria fu la vittoria del rally del Portogallo del ’64. Conquistai il primo posto assoluto con una Giulia TI quadrifoglio. Vinsi con una vettura, preparata da pista, da Conrero.

"Dopo la morte di Bandini, corsi anche con la Ferrari, periodo in cui c’era Giunti e i piloti Ferrari erano gestiti dalla scuderia milanese Scuderia SantAmbroeus (nome che deriva dal Sant Ambrogio, il Patrono di Milano) diretta da Eugenio Dragoni. In quel periodo, la Ferrari doveva inserire tra i suoi piloti un pilota italiano grazie all’interessamento della CSAI e dell’ACI sportivo. Naturalmente, io pensavo di essere escluso. Il 10 ottobre 1967, in occasione del Trofeo Ettore Bettoja, Chiti mandò a Vallelunga due Alfa Romeo 33, una per Giunti, che era un pilota romano e considerato ‘il reuccio di Vallelunga’, e una per me, che in quel momento ero il miglior pilota dell’Autodelta agli occhi di Chiti.

"Feci il miglior tempo in prova e vinsi la gara con 30 secondi di vantaggio. A fronte di questo risultato fui chiamato da Gozzi per conto di Enzo Ferrari. Andai all’incontro da solo, non certamente come farebbe un pilota di oggi, che andrebbe accompagnato da un avvocato.

"Dopo l’incontro, Ferrari mi fece provare una 312 che, purtroppo aveva l’abitacolo adatta per Chris Amon, che era alto la metà di me. Poi corsi a Modena, Monza, Vallelunga e nella prima gara non mondiale sulla nuova pista spagnola di Jararama. Dopo queste prove, Ferrari mi fece sottoscrivere un contratto che prevedeva le 8 gare di F1 e tutto il campionato europeo con la Dino di F2.

"Tornando all’Autodelta, con Chiti diventammo molto amici, nell’ambito lavorativo e di famiglia con la moglie Lina e piccolo Arturo che ai tempi aveva 5-6 anni. 

"Ricordo una volta a Zeltweg, sulla 33/3, montarono un piccolo sedile accanto al mio e portai Arturo in pista. Io andai piano, o per lo meno andai piano per me come lo consideravo io. devo dire che Arturo si divertì, ma Chiti era piuttosto preoccupato.  Conobbi Chiti quando correvo con la TZ1, e
l’Autodelta aveva ancora la sede a Udine. 

"Le parti le faceva l’Alfa Romeo, poi l’assemblaggio veniva fatto dall’Autodelta. Poi per ragioni pratiche, l’Autodelta si trasferì a Settimo Milanese. Il reparto corse Alfa Romeo era ormai vecchia,
mentre Chiti portò la novità e la capacità della gestione che si rese concreto con la TZ, la TZ2, Giulia GTA, la Guam e poi con la trentatré.

"Chiti portò all’Alfa Romeo una capacità d’ingegneria tecnologica che,in quel periodo, la Casa non aveva più.  E anche i collaudatori avevano una capacità di messa a punto della vettura che non era più adatta alle macchine moderne. In quel periodo, correndo prima con la TZ1 e poi con la TZ2 ho vissuto la nascita dell’Autodelta. Eppure ragazzi, se vedete le foto di come era l’Autodelta di allora, vi sembrerà impossibile che l’Alfa Romeo riuscì a battere la Porsche e, io, per ben 2 volte la 917 di Siffert e Rodriguez. 

"L’Autodelta era un ambiente particolare, e ancora oggi talvolta mi incontro con i meccanici di allora che, purtroppo con il passare del tempo, sono sempre meno. Umanamente Carlo Chiti era un personaggio formidabile, era un equivalente tecnico di un Forghieri, ma con una umanità che certo l’ing Forgheri non aveva.  Forghieri era legato all’aspetto tecnico e ingegneristico, Chiti oltre a questo era una persona con cui andavi a pranzo e con cui potevi parlare di qualsiasi cosa, leggeva moltissimo e si informava su tutto quello che succedeva nel mondo.

"Era molto amante degli animali e in particolare dei cagnolini. Con la 33 abbiamo avuto le grandi vittorie con la 33/3, alla 1000 km di Brands Hatch con 3 Porsche 917 da 5 litri, che dominava tutte le gare. Quel giorno con a pista umida e tortuosa, non riusciva a sfruttare tutti i cavalli erogati dal
propulsore.  Poi alla 6 ore del Watkins Glen, dove ero in coppia con Ronnie Peterson, dove abbiamo dominato grazie ancora alla pista umida.  Del resto le 917 le potevi battere alla Targa Florio, ma non certamente in una pista tradizionale.

"Nel 1970, l’Alfa Romeo tornò alla F1 con la fornitura di motori. In quel periodo vivevo in Inghilterra ed ero diventato amico di Bruce McLaren. Un giorno Bruce mi disse che aveva intenzione di uscire dal mondo ‘Cosworth’.  La Cosworth, che allora forniva i propulsori V8 a quasi tutte le scuderie di F1,
aveva istituito un monopolio, e dettava leggi e costi.

"Gli suggerii di provare con l’Alfa Romeo. Organizzammo un incontro all’Autodelta dove Bruce e uno dei suoi ingegneri parlarono con Chiti e trovarono l’accordo per l’uso del V8 Autodelta-Alfa Romeo. Purtroppo non risultò un propulsore competitivo: era un motore adatto alle gare di durata, mentre il Cosworth era specifico per i Gran Premi, molto più rapido nelle accelerazioni e molto più potente.

"Nel corso di un successivo incontro, dove Bruce vide anche i telai della 33, si sbilanciò e disse a Chiti che, dato che la McLaren era impegnata anche nella progettazione e nelle gare Can Am, avrebbe potuto dare un aiuto nello sviluppo della 33 dato che la McLaren aveva conoscenze tecniche che non Bruce non aveva visto nella costruzione dei telai della 33. Questo innervosì molto Chiti, che prese l’esternazione come una critica, e l’anno successivo non fornì più i motori alla McLaren e fece un accordo con la March.

"Purtroppo, oltre alla buona volontà, la March non aveva fondi per uno sviluppo
serio, e tutti i fondi ricevuti dall’Alfa Romeo venivano impiegati per il supporto
della March stessa.  Fu un disastro, dopo le prime prove, che feci con Peterson a Kyalami, la March si preparò a riutilizzare il motore Cosworth. 

"La mia carriera agonistica si interuppe nel 1974, dopo che venni coinvolto in un bruttissimo incidente, causato da Jody Scheckter, a Siverstone, nel corso del Grand Prix d’Inghilterra del 1973. 

"Nell’incidente, in cui furono coinvolte 15 vetture, ruppi in malo modo entrambe le gambe. I soccorsi impiegarono circa un’ora per estrarmi dai rottami dell’auto.  Dopo 4 mesi di sedia a rotelle e un lungo
periodo di fisioterapia, nel 1974 vinsi il Campionato Italiano Assoluto Velocità davanti a Arturo Merzario.

"Nel corso del 1974 la Marlboro mi propose un progetto del marchio dedicato all’abbigliamento e decisi di lasciare il mondo agonistico per accettare l’offerta Marlboro e iniziai la mia avventura nel giornalismo, e poi con la fondazione di una scuola di guida sicura. Non ho mai più rimesso la tuta ma sono sempre rimasto legato al mondo delle corse. 

"Ho quindi vissuto, da esterno, il secondo periodo dell’impegno dell’Autodelta con il ritorno della Alfa Romeo in F1. In quel periodo l’Alfa Romeo era una società gestita dall’IRI. Che non forniva il
necessario apporto economico alla scuderia. 

"Chiti e i suoi uomini sono stati fantastici a fare quello che sono riusciti a fare con i mezzi a disposizione. Oggi il mondo è cambiato e quel periodo, e quelle forme, sono delle situazioni
che non potranno mai più essere ripetute.

"Più in generale, il periodo in cui corsi per l’Autodelta, è stato un periodo in cui i vari piloti sono stati anche personaggi pubblici, piloti e uomini che ora non esistono più.

"A quel tempo, se incontravi piloti come Stewart, Prost, Schumacher ,Brambilla, Giunti, Galli, o anche me stesso, lo riconoscevi subito. Ora, parlando dei più veloci della F1, se li incontri per strada non sai neppure chi sono. I piloti sono per lo più sconosciti al grande pubblico. 

"Non hanno più quell’immagine e quel carisma che distingueva i piloti dei miei tempi, e in particolare quelli dell’Autodelta.

"Ai miei tempi il corpo a corpo era fatto da piloti che si rispettavano in gara e nella vita, cosa che per me oggi non esiste più. Vedi gente come Verstappen o altri che entrano in curva sperando che l’altro si spaventi e li lasci passare.

"Noi rischiavamo la vita ogni volta e cercavamo di non aggiungere rischi a quelli che già ci prendevamo.  

"Oggi rischiano, tanto sanno che non avranno conseguenze.

Poi termina il suo racconto: 

“Di quel tempo mi sono rimasti i ricordi più belli e quasi tutto l’abbigliamento e i caschi che ho utilizzato in gara. Ad esempio la giacca che indosso oggi, è ancora sporca della polvere e dell’olio della 33 con cui ho corso.

"Purtroppo di quegli anni, non ho più la GTA stradale, targata UD 518119,
ricordo molto bene la targa, perché ha una storia particolare: venne usata per
una rapina armata in una tabaccheria a Milano, e poi abbandonata.

"Ricordo che ero negli uffici dei Carabinieri per denunciarne il furto, e le radio
di servizio stavano trasmettendo: Si ricerca una Alfa Romeo rossa targata UD
518119. Una cosa che mi è rimasta in testa.


60 anni di Autodelta: i ricordi di Andrea de Adamich


https://www.youtube.com/watch?v=b2dZxk78_8Y&ab_channel=RegistroItalianoAlfa
Romeo-InternationalClub


Andrea de Adamich e Jean-Philippe Imparato raccontano i 60 anni di
Autodelta Alfa Romeo:

https://www.youtube.com/watch?v=gvuCgrDN5N0&ab_channel=alpinorcm


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