Se è vero che dietro ogni grande progetto, ci sono grandi uomini, la storia dell’Autodelta, squadra corse dell’Alfa Romeo dal 1963 fino al 1983 è il perfetto paradigma di questa convinzione. Il ritorno del glorioso marchio milanese sulle piste negli anni ’60, nasce dalla ferrea volontà di Giuseppe Eugenio Luraghi, personaggio poliedrico e uomo di molti talenti. Era formidabile stratega dell’imprevedibile mondo industriale, poeta, pittore e soprattutto, visionario, capace di tradurre i propri sogni in realtà vincente.
Nel suo secondo mandato dirigenziale alla casa del Portello, (ricopriva già l’incarico del vicepresidente dal 1952-1958), Luraghi, per decisione dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), fu nominato presidente, nel tentativo di salvare Alfa Romeo, marchio blasonato ma in perenne lotta con le difficoltà finanziarie. La fabbrica, ormai entrata in profonda crisi e scossa dai tumulti sindacali, era da sempre identificata, più di ogni altra al livello planetario, come la fucina dove nascevano innovative vetture sportive, ma anche come ambiente notoriamente incapace di imporsi come produttore con i conti in ordine.
La sua lunga scia dei trionfi sui circuiti, e imparagonabile albo d’oro, che erano iscritti nel DNA di ogni vettura che varcava cancelli degli stabilimenti di Portello, erano l’eredità da salvare, e nessuno poteva gestire meglio questa impresa di Luraghi, che si era già confermato come abile comandante di tutte le imprese che gli erano affidate. Nel nuovo incarico, lui, Milanese DOC, legato al mito del grande marchio cui fabbrica era ancora situata nel quartiere nord-ovest della sua Milano, realizzò il vero miracolo.
Giuseppe Eugenio Luraghi
Memore dei trionfi dei primi anni ’50, quando la dirigenza della fabbrica decise di ritirarsi imbattuta dalle competizioni in veste ufficiale, Luraghi credeva in quell’indissolubile legame dell’Alfa Romeo con il mondo delle piste, e da bravo agitatore, convinse i vertici dell’IRI a intraprendere la strada interrotta nel 1953, e tentare il ritorno nell’auto sport, una sicura garanzia dell’immagine della fabbrica e anche incentivo delle maggiori vendite delle vetture di serie.
Aveva a disposizione un formidabile gruppo dei progettisti e tecnici radunati nel SES (Servizio Esperienze Speciali) che sotto il giuda di Orazio Satta Puliga, un ottimo organizzatore e dirigente equilibrato, sapevano coniugare le scelte nuove con le realtà produttive. Al fianco di Satta c’era Giuseppe Busso, straordinario progettista, schivo e riservato protagonista di tutti i maggiori successi del marchio nel periodo del dopoguerra.
Con i fortunati modelli Giulietta e Giulia (codici di produzione 101 e 105) la fabbrica aveva riscontrato successo notevole e ripreso una certa stabilità, e Luraghi voleva la conferma anche in campo agonistico. In questa luce, chiese al SES di realizzare la versione altamente sportiva della vettura dalla gamma di produzione attuale, per scendere come partecipante ufficiale nel ETCC (European Touring Car Championship), che si svolgeva sotto l’egida della FIA, e fu seguito con enorme interesse dal pubblico.
Fu scelta la Giulia 1600 TI, che nella prevista elaborazione e segnata con il suffisso Super, diventava una vera macchina da corsa, un po’ penalizzata dal peso, ma temibile avversaria in pista alle BMW TI e la Ford Lotus Cortina, ma fu anche deciso e tenuto in gran segreto, di preparare per la pista, la neonata Giulia Sprint GT che passerà alla storia come la leggendaria GTA. Per il gradino più alto, la candidata prescelta era la magnifica TZ (Tubolare Zagato), vettura con le carte vincenti ma di lunga e travagliata genesi.
Orazio Satta Puliga
Fino alla decisione dell’Alfa Romeo di ritornare ufficialmente alle corse, l’onore del marchio fu difeso dalle strutture e preparatori privati, e dalla fabbrica uscivano i modelli capaci di entusiasmare i piloti, che con varia fortuna scendevano in pista con le loro TI, CS, SS, o SZ, spesso in grado di misurarsi con successo con la concorrenza.
Però, la mancanza di una struttura apposita, come poteva essere una squadra corse organizzata dalla fabbrica, penalizzava non di poco le aspirazioni dei piloti. C’erano, è vero, torinesi Bosato, e Conrero, come preparatori, e Jolly Club e Sant Ambroeus, come scuderie bene organizzate e gestite, ma per fare il grande passo bisognava aspettare l’arrivo della TZ che fu la prima vettura sportiva di razza prodotta di nuovo a Portello dopo la pausa lunga un decennio, come chiara indicazione della strada intrapresa da Luraghi verso l’universo delle corse.
La TZ era la vettura destinata a diventare la capostipite della famiglia delle macchine Alfa Romeo che riporteranno i titoli alla casa milanese, ma fu deciso di non adornare ancora i suoi fianchi con il leggendario simbolo delle Alfa Romeo da corsa, il triangolo bianco con quadrifoglio verde. Questo onore è stato riservato alla Giulia 1600 TI Super, scelta per contrastare la supremazia delle Cortina Lotus, che nella categoria Turismo, dominavano le corse.
Nella categoria GT invece, la strada per raggiungere successi era sbarrata dalla mancanza di strutture adeguate a produrre il numero sufficiente per omologazione, il che imponeva alla TZ a misurarsi nella categoria Prototipi, in una lotta impari con la concorrenza.
La TZ era macchina competitiva, ma lontana per esiguo numero di vetture dalla possibilità di lottare per il titolo. Per rimediare il problema, furono considerate due soluzioni; affiancare alla fabbrica un reparto esterno in grado di assemblare e preparare richiesto numero delle TZ per ottenere la omologazione FIA nella categoria GT, e l’altra, di allargare il campo di battaglia e portare la già esistente, magnifica Giulia Sprint GT, modello in produzione di serie dal 1963 e piena di estro sportivo, con una serie di mirati accorgimenti, ad un “vero” bolide da pista, omologabile senza difficoltà nella categoria Turismo.
La nuova vettura diventerebbe così nei piani di Luraghi arma degna del talismano con quadrifoglio verde, l’eredità del grande pilota del passato Ugo Sivoci, lasciata al marchio, e che con orgoglio ornava tutte le vetture che ufficialmente partivano nelle competizioni. Era di nuovo SES a prendersi incarico di realizzare cambiamenti necessari, e a Orazio Satta e Giuseppe Busso, Luraghi si rivolse con la “semplice” richiesta, di far nascere un’automobile vincente, destinata alle competizioni in categoria Turismo.
Era un compito arduo, ma da Satta e Busso eseguito con maestria. La nuova vettura nata con il codice degli studi interni 105.32 e segnata come GTA (dove A stava per alleggerita), fu dopo estenuanti collaudi presentata nel Salone dell’Automobile di Amsterdam, nel febbraio 1965. La produzione iniziale partì nel reparto Carpenteria Esperienze Speciali, ma fu di relativo ingombro e senza le strutture apposite per elaborazione e collaudi.
Per rimediare a ciò, Luraghi cercava un punto esterno al quale sarebbe affidato tutto il programma agonistico. Alfa Romeo, già in passato aveva praticato simile approccio e la Scuderia Ferrari rimase valido esempio di quel modo di agire.
Ma ancora una volta, il destino decise di incrociare le vie della casa del biscione con un altro grande personaggio, e quel fortunato incontro segnerà la storia del marchio nel prossimo ventennio.
Quando si cerca ad evocare quell'incredibile epoca di ritrovata fiducia in un’Europa in piena ripresa, dove scoperte, l'intuito e la fantasia erano le parole chiave per progettare un'automobile nuova e brillante, in Italia, i nomi e le scelte non mancavano di certo, ma il nome che si impose a Luraghi per la provata genialità era indubbiamente quello di Carlo Chiti, ingegnere toscano che lasciò l’impronta indelebile in molti progetti cruciali nella costruzione delle vincenti macchine italiane.
Ing. Carlo Chiti
Chiti era toscano di Pistoia, un personaggio di stampo quasi rinascimentale, estroso, esuberante e di carattere vulcanico, uomo di vasta cultura, curioso, spiritoso, aveva un debole per i cani ed era indubbio genio nel campo di meccanica e motori. Il nome di Chiti aveva risonanza particolare nel mondo dell’automobilismo sportivo.
Si era formato all’Università di Pisa nel settore aeronautico e dal 1952 al 1957, era al soldo dell’Alfa Romeo dove alle dipendenze di Orazio Satta ha lavorato al SES. Era sua l’elaborazione della Giulietta Sprint “Veloce”, vettura cui successo immediato già denotava le capacità eccezionali del corpulento giovanotto che parlava con marcato accento della sua terra.
Dal 1957 entrò sul suggerimentodell’amico Giotto Bizzarrini alla Ferrari, dove Drake gli affidò la direzione tecnica del settore corse. Alla Ferrari, insieme a Bizzarrini ha realizzato la 156 F1, convincendo Ferrari a adottare il motore posteriore sulle sue vetture, e vincendo con questa macchina il Campionato mondiale F1.
Poi, nel 1962, più per la solidarietà con i colleghi licenziati, che un dissidio con Drake, Chiti lasciò la Ferrari, per intraprendere l’avventura dell’ATS, per la quale ha realizzato una formidabile ma sfortunata vettura di F1 e una coupé di altissime prestazioni.
Ma la breve parentesi dell’ATS volgeva presto al termine. Mentre la impresa, vittimadi scelte sbagliate affondava, Chiti venne contattato dall’Alfa Romeo con la rinnovata proposta di collaborazione. L’interesse era reciproco perché lui era rimasto legato alla fabbrica di Portello e Luraghi era sicuro di aver individuato la soluzione che cercava. A malincuore Chiti, ancora impegnato con l’ATS, declinò l’invito di entrare in Alfa, ma si mise alla disposizione per ogni aiuto possibile.
Era chiaro che la sua risposta era solo un “si” posticipato Il piano di Luraghi lentamente prendeva la forma. L’idea di allestire un reparto corse autonomo, diventava la possibilità realizzabile, e le nuove vetture programmate, già in compimento, erano armi potenti per la discesa in campo.
Rimaneva ancora una sola cosa da tradurre in realtà. Nel suo sogno, la corona dell’intero progetto doveva essere una vettura di concetto, natura e progetto autonomo, in grado di misurarsi con successo nella divisione 6 della FIA, nel gruppo Prototipi, il vero campo di battaglia per i marchi ed i piloti di assoluta rilevanza.
Luraghi aveva immaginato una biposto secca creata per le corse, consone nella cilindrata alla gamma produttiva dell’Alfa Romeo, che doveva rimanere entro limiti di due litri di cilindrata, il che richiamerebbe l’attenzione verso propulsori già esistenti che equipaggiavano le vetture di Portello.
Perquesto, la richiesta fu esplicita: Progettare una macchina del Gruppo 6 con il compito di riaffermare l’immagine del marchio nelle competizioni, che rimarrebbe connessa al programma produttivo e che nello stesso tempo avesse potuto collegare l’Alfa Romeo alla gloria del passato.
Questa missione, assai complessa e difficile da eseguire era di nuovo affidata alla squadra interna al SES, e fu di nuovo Busso a cercare la soluzione.
Questo talentuoso tecnico, serio e taciturno, e fedele soldato della fabbrica di Portello, ebbe occasione di studiare durante la guerra le soluzioni, spesso all’avanguardia, nel reparto di avio costruzioni, perché anche Alfa Romeo, al pari di altre realtà industriali italiane, fu trasformata in chiave bellica in produttore del materiale destinato alla guerra, nello specifico, dei magnifici motori aerei e le strutture affini per l’uso in aeronautica. Busso aveva il dono naturale di comprendere meccanica in ogni suo aspetto, e anche senza la laurea ingegneristica riusciva a concepire e realizzare progetti straordinari.
Si era fatto le ossa nella fabbrica milanese, e nel suo cammino, passo dopo passo era arrivato al commando del reparto progetti alla SES. Avendo ancora freschi ricordi di certe soluzioni usate nella produzione degli aerei, e trasformando in prattica questi concetti, progettò in risposta alla richiesta di Luraghi, un rivoluzionario telaio, robusto, rigido e abbastanza leggero capace di sopportare le forze e le sollecitazioni alle quali andava sottoposta la vettura da corsa.
Così, tasselli c’erano tutti e bisognava solo completare il mosaico e iniziare l’avventura.
Giuseppe Busso
Officina dell’Auto Delta, Tavagnacco di Feletto Umberto, 1963
A questi uomini, protagonisti e abili tessitori di un magnifico sogno, e all’Autodelta che nell’arco di un ventennio sarà la genitrice di tante vetture che hanno entusiasmato Italia e il mondo intero, sono dedicate queste pagine di memoria e di affetto nati in un tempo ormai passato, che però, hanno impresso un ricordo ancora vivo in molti.
Autodelta
Nel 1963, Alfa Romeo era in frenetica ricerca della struttura esterna in grado di portare a termine l’assemblaggio dei cento esemplari della Giulia TZ e ottenere l’omologazione del modello nella categoria GT. A Luraghi sembrava di aver individuato la soluzione coinvolgendo officina esterna dei fratelli Chizzola, concessionari delle automobili Innocenti per Friuli, ai quali fu offerta la collaborazione ufficiosa della fabbrica di Portello. A loro due l’idea piacque, avevano entrambi il passato all’Alfa Romeo ed erano disponibili. Così, l’accordo per completare e mettere a punto le TZ fu stipulato e presa la decisione di creare una struttura autonoma adatta a svolgere questo compito.
Il 5. marzo 1963, con il deposito dell’atto costitutivo presso l'ufficio del registro delle imprese di Udine, nasceva in Friuli, a Tavagnacco di Feletto Umberto (Udine), la società Auto Delta, con lo scopo sociale dell’assemblaggio e preparazione dell’Alfa Romeo Giulia TZ (codice interno 105.11). L’officina di proprietà dei Chizzola, fu attrezzata, e la produzione ebbe iniziò nel maggio dello stesso anno. Il nome dell’impresa, Delta, fu scelto quasi per caso, per la verità prestato da una pubblicità, perché Delta, lettera greca con le sue tre punte rappresentava idealmente i tre luoghi, dove nasceva la Giulia TZ, e alla “Delta” fu anteposta parola Auto, per chiarire la natura dell’impresa.
Le TZ erano nate con telai prodotti dalla società aeronautica Ambrosini di Passignano sul Trasimeno (Perugia), e all’Alfa Romeo a Portello (Milano) si realizzavano gli organi meccanici, mentre alla Zagato si producevano la carrozzeria e interni. Tutto poi finiva a Feletto Umberto (Udine) dove la Giulia TZ era assemblata e messa a punto.
Chiti, coinvolto ma ancora all’ATS, si offrì ai Chizzola per aiuto nella messa a punto e i collaudi, tenendo conto che l’ATS a Pontecchio Marconi presso Bologna, disponeva di maestranze e attrezzature speciali, con le quali si potevano perfezionare alcuni aspetti delle TZ.
Con parecchia segretezza le TZ sbarcavano nei capannoni dell’ATS, per i collaudi, ed era lì che fu provato e poi adottato il sistema di scarico che usciva sotto la porta sul lato guida, e che poi, in futuro, sarebbe stato impiantato anche sulle GTA.
L’assemblaggio aveva raggiunto il ritmo di cinque TZ a settimana, e la produzione era ormai consolidata, cosicché nel giro di otto mesi fu raggiunto il numero di vetture necessario, e nel mese di gennaio 1964 agognata omologazione arrivò. Auto Delta non era ancora il reparto corse dell’Alfa Romeo, e in pista scendeva la Scuderia Sant’ Ambroeus alla quale la fabbrica aveva affidato le prime TZ assemblate con motori preparati da Virgilio Conrero di Torino.
Comunque, il 5. ottobre 1964, Chiti, ormai ufficialmente disoccupato dopo il fallimento dell’ATS, su richiesta dell’amico Lodovico Chizzola, e con entusiasmo di Luraghi, entrò da socio paritario nell’Auto Delta, e al programma in corso, la società aggiunse all’attività anche la facoltà di costruzione di prototipi, elaborazione meccanica e partecipazione a competizioni.
Luraghi, nel frattempo, ha maturato l’idea di trasferire la struttura vicino a Milano, e allestire piccola fabbrica a Settimo Milanese, dove secondo i suoi piani sarebbe nato reparto corse dell’Alfa Romeo. Lodovico e Gianni Chizzola, legati con il loro lavoro primario di vendita delle Innocenti a Friuli, declinarono con garbo l’offerta di venire a Milano, e rimasero disposti a collaborazione esterna, Chiti accettò il trasferimento e nel novembre del 1964, buona parte della struttura era già a Settimo Milanese, e i lavori di costruzione dei capannoni per ospitare la produzione, erano in fase definitiva.
Il nome Auto Delta subì fusione diventando Autodelta, alla stilizzata lettera Delta del logo, fu aggiunta la bandierina a scacchi bianco-nera con la scritta Autodelta, e Carlo Chiti fu nominato Direttore Generale con pieni poteri decisionali ed esecutivi ma anche con totale dipendenza finanziaria dalla casa madre.
Ormai anche tutti i lavori di ricerca erano trasferiti a Settimo Milanese, e la piccola fabbrica con una quarantina di impiegati e operai, cominciava con l’attività.
Autodelta, Settimo Milanese 1964
Autodelta era nata.
Marzo 5, 1963
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February 26, 2024
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