La più rara e meno conosciuta fra tutte le GTA era la versione SA (sovralimentata), presentata in occasione della terza rassegna delle vetture da competizione a Torino nel marzo 1967 e poi ripresentata al Salone di Ginevra di quell’anno.
La sigla SA era acronimo di Sovra Alimentata, ed indicava la presenza dei due compressori coassiali centrifughi fissati ai lati del gruppo carburatori, che tramite un cassoncino di raccolta a chiusura stagna alimentavano i due Weber doppio corpo 45 DCOE, propri della GTA (129). La vettura era stata pensata per il gruppo 5, che nella permissiva interpretazione delle regole FIA, lasciava la possibilità di elaborazioni massicce sui modelli di serie. Questo concetto, sfruttato all’epoca dai preparatori inglesi e tedeschi, che cambiava spesso le pigre berline familiari in veri bolidi per le piste, spinse l’Alfa Romeo ad affiancare alla GTA (già incoronata regina dell’European Tourist Challenge Championship), la sorella spinta con alimentazione forzata.
I motori con il compressore erano già nel DNA della Casa del Portello, ed il ricordo di Alfetta 158 e 159 indicava la scelta del propulsore turbocompresso per aumentare la potenza come soluzione naturale.
La paternità del progetto al Centro Esperienze era dell’ingegner Gianpaolo Garcea, ed è noto lo scarso entusiasmo con il quale Carlo Chiti accettò l’idea, ma da buon comandante in campo di battaglia, si mise all’opera per tradurla in arma utile. Per la verità, il progetto già alla nascita era obsoleto, e l’idea di aumentare a dismisura la potenza del piccolo aggregato e metterlo in situazione di competere con i “motoroni” Ford o Porsche, era fin dall’inizio destinata a durare poco. Comunque, la GTA SA è passata come meteora lasciando una lunga scia di domande senza risposta, di misteri e di dati incerti, che tutt’oggi sono oggetto di curiosità degli storici e di semplici appassionati.
Della GTA SA si sa veramente poco, partendo dal numero degli esemplari assemblati, dalla geometria e l’origine del propulsore, dalla sua permanenza sulle piste e dal suo destino dopo il ritiro dalle competizioni. La SA rappresenta forse l’oggetto più raro e misterioso di tutta la storia delle Giulia 105 da competizione.
Già durante l’inverno 1966 era stata notata sulla pista di Balocco la “strana” GTA, dalla quale Dorino Zeccoli tentava di strappare i segreti della sua natura selvaggia e decifrare le stranezze caratteriali, che solo anni dopo descriverà come “una tragedia, l’automobile su cui un pilota di oggi non avrebbe certamente messo il piede”. Detto da Zeccoli, il pilota che più di ogni altro conosceva i segreti delle vetture del Biscione, questo giudizio assume un peso ancor maggiore.
Secondo Zeccoli, la GTA SA era una macchina imprevedibile, difficile da guidare, delicata e fragile, ma anche piena di fascino, ed in situazioni agevoli, diventava l’avversario che vinceva. La GTA SA nascondeva bene le proprie doti e dall’esterno nulla, neanche la sigla, tradiva la differenza dalle altre GTA (130).
Solo l’occhio ben addestrato riusciva a notare i codolini sulle ruote posteriori messi per accomodare le più larghe Dunlop 65SC-5.50 M. L’assenza, talvolta notata, dello scudetto nella calandra non era un segno distintivo, ma solo un caso osservato in alcune occasioni (131). Cercando proprio le differenze, si sarebbe notato solo un manometro presente sul cruscotto (132) e fino all’apertura del vano motore, le sembianze della SA rimanevano invariate in confronto alle altre GTA da corsa.
Invece, una volta alzato il cofano, le differenze saltavano all’occhio. Il già ristretto spazio del vano motore della GTA si riduceva drasticamente con le “aggiunte” al lato carburatori di tutta la complessa struttura dei compressori ed il cassoncino a chiusura stagna che alimentavano il propulsore della GTA SA (133). Come già detto, il posto dell’air box della presa d’aria della GTA da corsa era sostituito dal cassoncino a chiusura stagna, con alle estremità due turbine di piccolo diametro (7 cm).
Schematicamente, il funzionamento del sistema di sovralimentazione seguiva una logica semplice. Una pompa a pistoni, situata al lato aspirazione del motore, azionata per mezzo di una catena dal motore, inviava olio ad alta pressione (80 kg/cmq) in due turbine coassiali con due compressori centrifughi che ruotavano ad una velocità massima di 95.000 giri al minuto. I compressori aspiravano dall’esterno l’aria e la Inviavano compressa nel cassoncino di alimentazione dei carburatori, formando la miscela che, attraverso i condotti dl ammissione e le valvole di aspirazione, arrivava nei cilindri, e questa miscela aria-benzina non veniva soltanto "aspirata” dai pistoni ma anche ’’compressa” dai compressori.
Ne risultava così un notevole miglioramento del rendimento volumetrico. Con un elevato numero di giri le turbine creavano la pressione di 0,6-0,7 bar, che spingeva la miscela nelle bocche dei soliti Weber 45 DCOE 14, che a loro volta la immettevano compressa a 16,8 bar nelle camere di combustione, generando una potenza di 220-240 CV. Questa tremenda spinta motrice in teoria doveva essere disponibile subito ed in modo lineare, visto che la pompa alimentatrice era collegata direttamente all’albero motore proprio per evitare il classico “gap” delle turbine.
Il salto della potenza, però, si verificava solo (ed in modo spesso imprevedibile) dai 3000 fino a 7500 RPM. Per rimediare agli inconvenienti immediati, quali la temperatura elevatissima dell’olio che muoveva la pompa e il pericolo di detonazioni, causato dalle piccole inevitabili perdite, vi fu messo un radiatore aggiuntivo per raffreddare l’olio, con l’apposita creazione di un sistema di iniezione d’acqua nei condotti alle camere di scoppio, per evitare possibili incendi durante il funzionamento. Ciò nonostante, la SA si dimostrò una vettura inaffidabile e propensa a prendere fuoco facilmente. L’altro neo era il suo comportamento, che Zeccoli descriveva come “imprevedibile botto di potenza, che arrivava all’improvviso e senza preannuncio, rendendo la SA difficilmente governabile in curva o in situazioni di manovra”.
Fino a 3000 giri il motore era sofferente e al di sotto delle prestazioni di utilizzo normale, ma passato al regime di sovralimentazione, si rivelava una belva di potenza enorme, in grado di declassare ogni altra vettura. All’epoca, in assenza della valvola “wastegate”, i compressori erano di difficile gestione, e la SA, altrimenti identica alla sorella di ben 70 CV in meno, non riusciva a sfruttare la potenza frenante del motore, e comunque dimostrava scarsa stabilità in frenate brusche. Quello che, superati i 3000 giri, certamente non mancava, era l’enorme coppia, che spingeva con incredibile facilità i 780 kg della SA in ogni rapporto di marcia ad accelerazioni fulminanti.
Un altro elemento innovativo comparso sulle GTA SA era l’accensione ai transistor, la vera progenitrice dei sistemi futuri, che dal 1968 sostituì il classico distributore Marelli S119. Ma il vero tallone d’Achille rimaneva il facile surriscaldamento in condizioni di velocità medie e basse. Il calore eccessivo si dissipava meglio alle velocità maggiori, aiutato da un buon sistema di raffreddamento, ma nei circuiti a velocità non elevate e regime di giri non molto alto il surriscaldamento del motore era all’ordine del giorno.
Un altro problema consisteva nello spaventoso consumo di benzina, che arrivava a 32 litri ogni 100 chilometri in regime di corsa, e penalizzava la SA nelle corse lunghe, costringendola a soste frequenti. La coppia che la SA sviluppava causava a volte facili slittamenti del posteriore anche nelle marce più lunghe, e l’uso più frequente dei freni nelle corse di durata (visto lo scarso rendimento dell’effetto frenante del motore), esponeva tutto il sistema frenante al “fading”.
Ma il vero mistero nel quale rimane avvolta la storia della Giulia GTA SA comincia con il suo contenuto tecnico, mai svelato completamente (o i dati sono andati persi), tant’e che con il tempo si sono sviluppate due scuole di pensiero, che vedono la SA con occhi diversi. La maggioranza degli autori italiani, descrivendo il motore della SA, cita i valori di alesaggio e corsa come 86x67,5 mm, in ottica di ricerca di un motore super quadro, che perfettamente corrispondeva alle ricerche di un geniale ingegnere quale fu indubbiamente Chiti.
Visto il periodo dello sviluppo del motore della SA che coincide con l’assenza del propulsore 1300, con il quale la SA condividerebbe in teoria la corsa del pistone, l’albero motore, i cuscinetti, le bielle ed altri componenti meccanici, alcuni cercano nel motore sperimentale sviluppato per la F2 (86x68,5 mm), la base dalla quale sono state trapiantate tutte le componenti meccaniche specifiche.
La testata non poteva essere che la classica “doppia accensione”, leggermente adattata allo scopo; per il resto, il grosso dei cambiamenti riguardava il basamento, dove alloggiava la pompa dell’olio che alimentava i compressori. La corsa accorciata e l’alesaggio maggiorato erano la via logica per ridurre la velocità del pistone stressato, e molti sono propensi a credere che questa fosse la soluzione adottata, visto che anche le riviste specializzate dell’epoca mettevano in risalto questo lato tecnico innovativo.
Ma dato che il rapporto di compressione era notevolmente abbassato (8,5:1) e che non era possibile adottare i classici pistoni della GTA, ciò apre il capitolo alesaggio, che davvero contiene parecchie incognite. Su un motore destinato a girare ininterrottamente anche per tutto il tempo delle corse lunghe, assottigliare il guscio delle canne ad uno spessore assai inferiore a quello solito, con susseguente indebolimento dell’alloggiamento delle stesse (fori notevolmente allargati) significava esporre il basamento (l’intero propulsore) ad un indebolimento critico, assolutamente non in grado di assolvere il compito di durata sotto un regime di stress elevato.
Siccome sono tutti concordi a ritenere che nel caso dei motori GTA SA furono usate sempre e solo le canne separate, e che la monocanna (forse più robusta e rigida) fece la propria apparizione solo sulla GT Am, la presenza di descrizioni dettagliate e di tanti dati precisi citati per una soluzione improbabile rimane certamente un mistero. Forse, dobbiamo prendere in considerazione la presenza di due diverse varianti dello stesso motore, già all’epoca. In favore di questa tesi, è riscontrabile anche la provenienza diversa (Portello e Settimo Milanese, con rispettive marchiature) dei diversi propulsori sopravvissuti fino ad oggi. Pare comunque che tutti i motori esaminati di recente (e qui siamo alla seconda scuola di pensiero) siano basati sulla geometria classica della GTA, cioè 78x82 mm, e questo dato parla in favore di quelli che da tempo sostengono che il blocco motore era il tradizionale 10532.01.010.99 elaborato per le GTA.
Vista la presenza degli stessi valori sulla classica GTA da corsa, è da supporre che furono adottati pistoni particolari, considerando l’abbassamento della compressione, che solo con il fattore di sovralimentazione si avvicinava ai 10,5:1 dichiarati. In questo caso le cose erano più semplici, e l’utilizzo della testata 10532.01.053.99, delle valvole raffreddate al sodio, e del rimanente corredo della GTA era logico e facile. Il mistero del numero dei motori assemblati, però, non è stato mai risolto. Nessuno può dire con assoluta certezza quanti motori e quante vetture siano state assemblate in versione SA.
Le opinioni sono abbastanza concordi sull’ipotesi che non più di dodici propulsori siano stati prodotti per uso agonistico, mentre per il numero delle vetture la stima non supera dieci GTA in assetto SA. Dati riscontrabili riguardo ai numeri certi di telaio elencano le seguenti vetture, presenti in gare nell’arco di tempo fra il 1967 e il 1970: AR 613015, AR 613016, AR 613056, AR 613069, AR 613470, AR 613929, AR 613919.
Dopo il 1969, quasi tutte le GTA SA sono state riconvertite in versione aspirata classica, cioè con i carburatori a pressione atmosferica e l’ultima apparizione certa di una GTA SA risale all’8 marzo 1970, quando la GTA SA (AR 613069) guidata da Christine Beckers si piazzò seconda assoluta nella gara in salita a Condroz. Poco dopo fu convertita in versione sperimentale con il motore 1300, ma questo cambia poco.
La GTA SA era già nella leggenda…
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